“Non so se Dio esiste. Ma se esiste, spero che abbia una buona scusa”. È una delle centinaia di formidabili battute di Woody Allen. Mi verrebbe da aggiungere che troppo spesso all'uomo non è data questa speranza. Per esempio per certi fatti avvenuti all'Elba.
Gli elbani sono sempre stati a stragrande maggioranza cattolica, ma questo non significa che nella nostra storia non conoscessimo minoranze di altre confessioni. Ma qual è stato l'atteggiamento dei cattolici isolani verso queste minoranze? Spesso quello classico delle maggioranze: ostilità e disprezzo.
Con lo sviluppo di Portoferraio, già agli inizi del XVII secolo si contava in città qualche ebreo, attirato dalle possibilità commerciali del porto. Per circa un secolo, data l'esiguità del numero, molto probabilmente abitavano in case sparse, forse alcuni anche in altri paesi dell'isola, dato che si hanno notizie di botteghe di commercianti ebrei in alcuni centri.
Ma agli inizi del Settecento c'è un cambio nell'atteggiamento del granducato di Toscana verso la comunità ebraica della città, che contava 40/50 membri, tanto da dotarsi di una sinagoga e un cimitero. Gli ebrei vennero concentrati in una parte del centro, che prese appunto il nome di vicinato degli ebrei, l'attuale via Elbano Gasperi. Per quanto non si possa parlare di un vero e proprio ghetto, il fatto di concentrarli in una sola zona denota che le autorità ferajesi intendessero emarginarli dai cristiani.
È infatti nientemeno che il granduca, il bigotto e antisemita Cosimo III, a suggerire al governatore della città Alessandro del Nero “di far prendere abitazioni a gli Ebrei costì dimoranti tutti in una medesima strada a fine d'ovviare agli sconcerti che possono nascere nel coabitare mescolati coi cristiani”.
Inoltre venne loro imposto, sotto la minaccia di arresto, di non uscire dal vicinato dopo l'una di notte (ora italiana, che corrispondeva a un'ora dopo il tramonto). Un colpo durissimo al loro commercio, poiché la loro attività spesso li costringeva a spostamenti anche a tarda ora.
Inoltre ebbero un bel brigare per costruire la loro sinagoga. Le autorità cercarono di impedirne la costruzione, in quanto troppo vicina alla parrocchiale. I pretesti erano palesemente razzisti: i riti ebraici, definiti sprezzantemente “strepiti e cantilene”, potevano disturbare quelli cristiani, che invece erano nobilitati come “Sacri inni di Santa Chiesa”. Coi toni classici dell'armamentario razzistico di ogni tempo, si diceva che gli ebrei potevano “usar dei mali garbi, e dispregi, potendo poi riuscir questo di grave scandalo al concorso dei Fedeli”.
Ma l'intolleranza religiosa la vissero sulla pelle anche elbani stessi: i valdesi di Rio Marina. Tanto che alcuni di essi “pagheranno cara la propria scelta confessionale, arrivando a lasciare l'isola”, come scrive Margherita Mellini.
Il culto valdese fu portato nel paese, nel 1853, dal capitano di bastimento Giovanni Cignoni, e subito attirò diverse persone. Tra cui donne, che iniziarono a fare opera di proselitismo. E questo protagonismo femminile dette alquanto fastidio al parroco e ai bigotti cattolici, che avrebbero voluto le donne in posizione subalterna. E inizia la persecuzione.
Scrive Giovanni Rochat: “Furono brutti giorni per gli Evangelici di Rio, non si risparmiava loro né insulti né minacce; si cercò di ridurli alla fame togliendo agli uni il lavoro, ricusando di prendere gli altri a bordo come marinai dicendo che portavano sfortuna; nessuno mandò più i suoi bambini alle scuole della Signora [valdese] Martelli”.
Il prete del paese, don Cristoforo Paoli, arrivò a mobilitare la prefettura di Portoferraio per accusare i valdesi di eresia e propaganda protestante. Nel 1858 viene mobilitata la pubblica sicurezza per sequestrare le bibbie protestanti. La costruzione del tempio durò un anno, perché costantemente boicottata e vandalizzata dai cattolici, tanto che si dovette far venire muratori dal continente perché nessuno voleva lavorare a una costruzione ritenuta sacrilega.
L'episodio più squallido si giocò sul dolore di due genitori che avevano perso la figlioletta appena nata. Il 12 febbraio 1863 ai valdesi Caterina e Luigi Cignoni nacquero due gemelle, che furono battezzate col rito dei genitori: era la prima volta all'Elba.
Purtroppo otto giorni dopo la piccola Lina Giuseppina morì. Ma quando la commossa comunità valdese di Rio Marina portò la piccola salma al cimitero comunale, don Cristoforo fece sbarrare la porta. Senza alcun rispetto cristiano per il lutto di due genitori e per una povera bimba, il parroco dichiarò, secondo le parole di Rochat, “che il Cimitero sarebbe sconsacrato se vi venisse sepolto un eretico o un figliolo d'eretico; e che vi sarebbe scomunica per chi ne scavasse la fossa o anche facilitasse l'ingresso nel Campo Santo”.
Ritornando ai fatti occorsi agli ebrei, Alfonso Preziosi scrive: “sebbene i più antichi documenti testimonino qualche inevitabile screzio con la popolazione cristiana specialmente per il modo di vestire degli ebrei levantini e sebbene ci sia stato qualche disaccordo con le autorità ecclesiastiche per motivi religiosi, in genere gli ebrei trovarono all'Elba un'oasi di pace […].
La popolazione elbana, con l'andare del tempo, non solo si era assuefatta alla presenza degli ebrei, ma li vedeva con simpatia”. Ma è da vedere quanto le prevaricazioni viste sopra potessero definirsi “un'oasi di pace” per chi doveva subirle. A dimostrazione della sua asserzione Preziosi riporta il caso di matrimoni misti tra uomini ebrei e donne cristiane. È vero, ma purtroppo erano sempre gli ebrei a doversi convertire all'altra religione e prendere il battesimo: una forzatura che non era imposta ai cristiani.
Pur volendo derubricare a “inevitabili screzi” gli episodi descritti, e accettando il fatto che la maggioranza degli elbani si mostrasse tollerante, faccio però rilevare due cose. Primo, che comunque certe intolleranze non erano affatto estranee all'Elba; secondo, che se di sicuro la responsabilità di espressioni razziste era propria delle alte gerarchie ecclesiastiche e governative, non possiamo dire con certezza quanto fossero condivise o rigettate dalla popolazione, o se addirittura le autorità stesse riflettessero l'umore dei paesani.
Riassumendo: anche l'intolleranza religiosa non era aliena alla storia elbana, con buona pace delle anime candide.
Andrea Galassi
(nella foto: resti murari del Cimitero Ebraico - Le Ghiaie - Portoferraio)