I BOMBARDAMENTI ED I TEDESCHI
Ricorda DINA CANAPINI, nel 1943 aveva diciassette anni - Dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi videro l’armistizio come un tradimento ed allora bombardarono lo stabilimento delle fornaci e spararono contro gli elbani inermi che si rifugiavano nei tunnel a fianco della “Porta a Terra“. Vennero anche dei paracadutisti tedeschi ed alcuni di loro usarono le armi anche contro donne e bambini sul portone di casa.
Ci fu chi, come MARISA BURELLI, si rifugiò con la famiglia a Marciana Alta facendo tutta la strada a piedi, lì abitava sua nonna che li accolse ben volentieri anche se erano in dieci, due i genitori e otto i figli compresa Marisa.
Lo stesso fece la famiglia di LUIGI VILLANI - Dopo i primi bombardamenti a Portoferraio, ci trasferimmo presso degli amici a San Martino e da lassù si potevano vedere i bombardamenti sulla città. Ricordo in particolare uno degli ultimi bombardamenti, quello del 19 marzo 1944, perchè ci coinvolse direttamente. A mezzogiorno in punto suonò l’allarme. Nonna abitava in un grande palazzo che ora non c’è più, l’ingresso era in Via Polchetti, in alto, sulle fortezze medicee. Vicino c’era un ricovero e lei si precipitò con nonno e mia zia che era
ancora in fasce coprendola con una coperta. Il tunnel era quello di “Porta a Terra“ e nonna si mise vicino all’ingresso dove c’è ancora una madonnina.
La gente era tanta ed una bomba esplose proprio vicino all’ingresso facendo molti morti, ma i miei nonni si salvarono. Il bombardamento era durato più di un’ora.
Nonna però era più preoccupata dal fatto che aveva lasciato la pentola con l’acqua per la pasta sul fornello acceso.
Finito il bombardamento, nonno si prodigò ad aiutare i feriti. Quando poi si avviarono verso casa, videro che il palazzo non c’era più. Nonno e nonna, nonostante tutto, si abbracciarono felici per aver avuto salva la vita.
Particolarmente drammatico è il racconto di VITTORIO COLOMBINI - Ricordo che, dopo il primo bombardamento del 16 settembre 1943, iniziato alle ore 11.20, i tedeschi lanciarono dei volantini su cui c’era scritto che avrebbero continuato a bombardare fino alla resa dei militari elbani; all’epoca avevo quindici anni ed abitavo in Via Guerrazzi e, vicino al mio palazzo, fu completamente distrutto quello dove ora c’è la Banca di Firenze. A quel tempo lì c’era lo studio del Dottor Longhi, un dentista che morì sotto le macerie.
Alla fine di Via Guerrazzi venne distrutta anche la banca del Monte dei Paschi, l’edificio si chiamava Palazzo dei Merli. Fra i morti ricordo un mio amico che si chiamava Ivo Martellacci. Io stesso misi il suo corpo in una coperta e lo portai dai suoi genitori.
Il giorno seguente sbarcarono i tedeschi che occuparono l’isola e si insediarono nella caserma dell’Albereto presso la batteria della Guardia Costiera a Capo Bianco e in quella di Bagnaia. Molti soldati elbani scapparono per non stare sotto i tedeschi, altri sabotarono camion ed armamenti. I tedeschi rimasero per circa un anno e cercavano di tenersi buoni chi collaborava offrendo loro dei lavori. Nel 1944 iniziarono i bombardamenti degli Americani. Vennero rasi al suolo i due cimiteri di Portoferraio perché pensavano che i tedeschi vi avessero nascosto un arsenale da guerra. Ogni giorno le sirene e le campane delle chiese avvertivano la popolazione dell’imminente bombardamento mentre la Capitaneria di Porto era provvista di un aerofono che individuava, con l’ascolto, la direzione di provenienza del rumore fatto dagli aerei e ne misurava anche la distanza. É uno strumento che è poi stato sostituito dal radar.
La gente si rifugiava soprattutto sotto il tunnel fortificato di Via Guerrazzi. Il 19 marzo 1944 dieci bombardieri americani scaricarono sull’isola parecchie bombe. Crollarono “Il Moderno“, le case costruite sulle fortezze e quelle di Via Ninci. Io, quel giorno, mi trovavo nel tunnel con la mia famiglia ed una bomba cadde vicino e per uscire si dovette scavare con le mani e si sentivano gli urli ed i pianti della gente e c’erano tanti morti. Portoferraio è stata la più colpita e con più morti e feriti per cui fu considerata “zona nera“ perché a rischio di epidemie e già nel 1943 erano molti i casi di scabbia dovuti alla malnutrizione.
Dopo questo tragico bombardamento, la mia famiglia si rifugiò in una cava nei pressi della Caserma dell’Albereto.
ALESSANDRO MARTORELLA, in quei momenti aveva già venticinque anni, ricorda che, a causa dei tanti palazzi distrutti, anche la sua famiglia, come tante altre, si rifugiò dove ora c’è la Finanza - Io, insieme ai miei fratelli, andammo, fra le macerie della mia casa, a cercare dei soldi che i miei genitori avevano nascosto sotto i materassi e nelle federe dei cuscini, ma non riuscimmo a trovare nulla. In quel periodo ho vissuto il dolore più grande della mia vita quando morì il mio fratellino Sandro di cinque anni. Si andava correndo, io e lui, per andare al rifugio quando è caduta una bomba le cui schegge lo uccisero, Sogno ancora oggi quel momento, ero molto affezionato al mio fratellino.
NONNA GEMMA ha descritto a sua nipote Candida il terrore continuo a cui era sottoposta - I tedeschi entravano nelle case solo per il gusto di vederci soffrire. Alcuni elbani cercarono di ribellarsi non accettando quei soprusi ed allora erano botte e violenze di ogni tipo.
Rammenta anche i militari italiani all’Elba dopo il settembre del ‘43 - Loro decisero di non arrendersi ed allora il comando tedesco ordinò di bombardare le loro postazioni. Distrussero in particolare una batteria di cannoni in località “Le Grotte“ dove morirono otto soldati italiani, da quel che so io.
I tedeschi distruggevano tutto: case, annessi agricoli ed anche intere montagne e colline dove gli elbani trovavano prodotti spontanei come le castagne ed i funghi per il loro sostentamento.
GIOVANNI GIANNONI, aveva allora dieci anni, ha bene in mente il momento in cui tramontava il sole - Non si poteva accendere la luce perché, se Pippo ci vedeva dall’alto, ci mitragliava e ci faceva bruciare le case, ma io avevo un vero terrore a stare così al buio.
Una volta un contadino aveva acceso il focolare per fare il pane ed un tedesco arrivò a casa sua e gli sparò, ma non è morto.
Nonna ANNA ROSANI, ma un po’ tutti gli intervistati, ha ben fisso nella memoria una data, il 22 settembre 1943 - Quando un sommergibile inglese colpì, con tre siluri, il piroscafo passeggeri “Sgarallino“ provocando la morte di centinaia di persone.
Secondo DINA CANAPINI - Gli Americani bombardavano due volte al giorno; al mattino piccoli aerei di ricognizione, soprannominati “ i caffelatte“, sganciavano piccole bombe, invece la sera arrivavano grossi aerei bombardieri che misero a tappeto tutta la zona del porto colpendo anche le navi che portavano i viveri per cui, quando affondavano, tutta la città soffriva la fame e si era costretti, chi poteva, a comprare cibo al mercato nero. Noi ci rifugiammo, in quel periodo, nella casa di un mio zio che viveva in campagna al Bucine dove c’era pure da mangiare.
Nella foto il Cimitero della Misericordia a Portoferraio a seguito dei bombardamenti del '44 (dal sito misericordiaportoferraio.it)