“Al di là della morale e della legge, al di là della pietà, era una massa irredenta di energia umana, una massa di solitudine, una cieca e tragica volontà: e come un cieco ricostruisce nella mente, oscuro e informe, il mondo degli oggetti, così don Mariano ricostruiva il mondo dei sentimenti, delle leggi, dei rapporti umani. E quale altra nozione poteva avere del mondo, se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?”
È il ragionamento che l'acuto capitano dei carabinieri Bellodi fa della mentalità arcaica e deviata del capo mafia Mariano Arena, nel capolavoro di Leonardo Sciascia, “Il giorno della civetta”.
Allo stesso modo quando un mondo, come quello elbano, per secoli è soffocato dalla forza (sia quella dei conquistatori che quella degli interessi economici) e il vento degli avvenimenti è avverso, le leggi e il diritto che regolano la società sono spesso quelli imposti da una cultura ancestrale o vengono piegati al proprio modo di vivere. E difficilmente cambiano in poco tempo e anche in tempi di ricchezza.
Il seguente episodio mostra fin dove il pensiero al di là di morale e legge potesse arrivare per certi elbani. Devo premettere una cosa importante: mi è stato raccontato da diverse fonti orali, ma non ho mai trovato un riscontro documentario. Non farò nomi né riferimenti geografici, e depurerò la narrazione da particolari pruriginosi e inverosimili. A differenza dei miei detrattori, io ho un profondo rispetto per tutti protagonisti della vicenda (“se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”, avrebbe cantato Fabrizio de Andrè), e per i loro discendenti.
Tra l'altro la protagonista della storia l'ho anche conosciuta, e ne ho un bel ricordo di un'anziana signora riservata e gentile.
La vicenda si svolge in un anno tra le due guerre. Due giovani fidanzati sono pronti a convolare a nozze tra breve. Ma la ragazza si scopre incinta. E per la società bigotta dell'epoca è uno scandalo. Non solo. Il ragazzo nega qualsiasi rapporto sessuale. Si può immaginare lo sconforto della ragazza, che in quell'ambiente retrogrado deve subire anche l'umiliazione di sentirsi trattare da prostituta. E avviene il fattaccio.
Un giorno la ragazza si avvicina al ragazzo, estrae una pistola e spara. Il proiettile colpisce la gamba del giovane (che infatti per tutta la vita sarà claudicante). A questo punto la situazione cambia radicalmente: non si tratta più di pettegolezzi paesani, ora c'è un reato. E i carabinieri devono avviare le indagini. Il ragazzo viene interrogato. Inizialmente continua a negare, ma poi cede: è vero, c'è stato un rapporto sessuale. Ma non completo, ci tiene a precisare, negando quindi la paternità.
Ma per i bigotti non importa, per il loro specialissimo tribunale la sentenza è già emessa. E la situazione si ribalta: adesso è il ragazzo a provare il disprezzo dei benpensanti.
Oltretutto il giovane è imparentato coi papaveri fascisti del paese. Se il regime riesce a mettere la mordacchia anche su reati gravi, come ladrocini e corruzioni, cosa ben diversa sono gli scandali sulla morale: a dispetto della retorica mussoliniana di una mitizzata nuova società fascista, quella reale rimane la stessa, con le sue solite bigotterie. Il ragazzo viene costretto a trasferirsi da parenti in continente.
Ma le indagini dei carabinieri sono serrate. Vengono interrogati tutti, soprattutto testimoni. E piano piano emergono particolari inquietanti. Risparmiandovi dettagli implausibili e truculenti, si scopre la verità. Sconvolgente. La ragazza è da anni vittima degli abusi sessuali del padre. Il figlio che nascerà è frutto di un incesto.
Nella vicenda c'è dentro tutto. C'è il clima asfittico e putrido che crea una società ferocemente bigotta, clericofascista, fetidamente pettegola e col dito inquisitore alzato contro ogni peccato, e poi autoassoluta e sputasentenze, anche quando con la sua condotta oppressiva trasforma gli innocenti in colpevoli. C'è il rapporto deviato che si può creare in una famiglia e sotto il segno del patriarcato.
C'è il ruolo della donna in quella società: umiliata dalla condizione di genere, vittima costretta a trasformarsi in carnefice, colpevolizzata per ogni sbaglio da un mondo di parrucconi. C'è una vittima incolpevole, quel figlio dell'incesto, che nella sua vita, peraltro non lunga, si porterà il fardello dell'indecenza fattagli pesare dagli altri.
È anche significativo quanto mi riferiva uno di coloro che mi hanno raccontato la vicenda: “Forse era una vittima anche il padre stesso, al di là della bestialità del suo comportamento. Era tornato in paese dopo anni di emigrazione, anni di privazioni e amarezze, di vita dura. Torna e trova quella figlia lasciata bimba e trasformatasi in bella ragazza. Forse vedeva il suo agire come uno sfogo dopo tutte quelle amarezze patite”.
Quanto raccontato è solo una delle facce di società che possono nascondere mostruosità. Altri drammi mi sono stati raccontati, talvolta da testimoni o presunti tali. Brutti episodi che incisero sulla storia dei nostri paesi, data la caratura dei protagonisti. E in alcuni casi, forse, hanno cambiato anche il corso di certi avvenimenti locali. Ma che oggi è molto difficile da valutare e indagare, essendo ormai tutti morti carnefici, vittime, testimoni. Inoltre chi lavora sulle testimonianze sa che possono essere soggette a processi psicologici (il cosiddetto effetto Rashomon, i falsi ricordi, le rielaborazioni dovute al tempo e alle percezioni, etc.) che modificano o addirittura falsano, anche in buona fede, la realtà.
Per questa vaghezza storica, ma anche per rispetto degli incolpevoli discendenti, che non meritano di apprendere cose dei loro avi allo stadio del sentito dire o poco più, non solo non li riporterò, ma moriranno insieme a me.
Ho raccontato quello visto sopra, perché il numero delle fonti lo rende attendibile. Ma credo che basti a tirare una conclusione. E dobbiamo dircela senza infingimenti. Una società elbana dalla passata età dell'innocenza esiste solo nel fatato mondo degli ingenui, di chi ha paura di scrutare l'abisso, di chi la spaccia per motivi propagandistici.
Andrea Galassi