Filippo Turati asseriva che i socialisti erano bravi nella “rivoluzione a parole”, ma i fascisti erano più bravi nella “rivoluzione del sangue”. In realtà, come abbiamo visto anche all'Elba, i socialisti e le sinistre in generale potevano toccare vette di violenza estrema.
Tuttavia non si può mettere i due fenomeni sullo stesso piano: le idee socialcomuniste e anarchiche potevano usare la violenza ed essere propugnate da autentici sanguinari, ma avevano un fine di giustizia sociale (talvolta con risultati discutibili, questo sì) e hanno rappresentato un indubbio progresso umano per le classi più basse e per la conquista di diritti. Il fascismo e il nazismo sono state idee di violenza tout court e fine a sé stessa, slegata da qualsiasi movente di miglioramento. Inoltre i regimi fascisti e nazisti possono anche aver fatto qualche cosa di buono, come i loro apologeti dicono (spesso a sproposito), ma si tratta di miglioramenti contingenti, non certo assoluti. Non hanno lasciato alcun segno nel progresso dell'umanità.
Il fascismo elbano è un periodo scarsamente approfondito, pur essendo vicino a noi, e quindi poteva contare di testimoni diretti fino a pochi anni fa. Cosa abbastanza strana, dato che fasi storiche isolane anche molto lontane nel tempo sono state raccontate con un numero significativo di pubblicazioni.
Se leggiamo i saggi storici generici, quando l'autore arriva al ventennio elbano spesso lo liquida in poche righe. Ma soprattutto col tono di un periodo in cui è successo poco o nulla. Perché ancora una volta si cade nel luogo comune autoassolutorio, nel mito della bontà degli elbani, popolo che non scivola negli estremismi, e che, sì, ci fu qualche perseguitato ma vittima più di azioni goliardiche che altro.
È vero che all'Elba non si registrano episodi particolarmente gravi, ma questo non significa che fossimo immuni dallo squadrismo. Ci furono persone percosse dal manganello e costrette a bere olio di ricino. Ci furono devastazioni: per esempio sappiamo di sicuro che a Rio Alto i fascisti distrussero la sede della loggia massonica del paese.
Ci furono arresti e deferimenti al tribunale speciale. Ci furono persone costrette a scappare all'estero e con molte difficoltà: la vigilanza era soffocante, e i permessi di espatrio venivano rilasciati dalle autorità fasciste. Era difficilissimo per un antifascista uscire dall'Italia, in quanto il regime temeva che all'estero si creassero sacche di oppositori in grado di organizzare gruppi di lotta o screditare la dittatura: è il caso del socialista capoliverese Ezio Luperini, defenestrato da sindaco del paese e protagonista di una difficoltosa fuga negli Stati Uniti.
Ugo Spadoni, nel suo prezioso articolo “Per una storia della battaglia di Piombino. Antifascismo e resistenza all'Isola d'Elba” (Rivista di Livorno, 1955), l'unica raccolta di testimonianze dirette sul fascismo elbano, riporta che da Pisa dovettero arrivare squadracce punitive all'Elba, a dimostrazione che l'antifascismo isolano era molto forte e probabilmente preponderante sullo squadrismo locale. Questo però non significa che i fascisti elbani fossero pacifici: nella migliore delle ipotesi sapevano che supportavano i loro camerati continentali in spedizioni punitive e violenze, nella peggiore si sentivano spalleggiati proprio per perpetrarle impunemente.
È sconvolgente la testimonianza che il bracciante anarchico capoliverese Ernesto Sardi fornì alle autorità del Cln, oggi raccolta nel pregevole “Antifascisti e perseguitati elbani”, di Ivan Tognarini. Faccio una premessa. Per quanto Sardi fornisca nomi e cognomi dei responsabili dei crimini, tutti capoliveresi, riporterò solo le iniziali: non è intenzione di questa serie fare processi postumi, considerando anche che le accuse di Sardi non arrivarono nelle sedi giudiziarie (spesso anche a causa dell'improvvida amnistia Togliatti), e quindi si tratta di una testimonianza di parte. Per chi volesse conoscere i responsabili rimando alla suddetta pubblicazione.
Dalle parole di Sardi emergono pesanti responsabilità. Addirittura denuncia un omicidio, compiuto dai capi fascisti Q. P. e S. M., su ordine di B. C., ai danni di Lorenzo Bandini, padre di 4 figli. Ernesto poi addebita gravi responsabilità a C. P. “che mi colpì ripetutamente con un rasoio allo stomaco e riducendomi in penose condizioni che mi costarono 4 mesi di ospedale”, e a S. G., che arrivò a sparargli. E aggiunge: “fui brutalmente bastonato e la mia casa fu per numerose volte oggetto di scorrerie e perquisizioni incivili fino al mio arresto ordito e ordinato dalla stessa belva”, ovvero il già citato Q. P. Addirittura la moglie di Ernesto rimase talmente choccata, che ebbe un aborto spontaneo. Un altro che subì le manganellate del violento S. M., sempre a detta di Sardi, fu Pasquale Signorini.
Non solo molti storici hanno sottovalutato il fascismo elbano, ma in alcuni casi ne hanno dato un'immagine pulcinellesca. È significativo un articolo di Aulo Gasparri su “lo Scoglio”, n. 17, intitolato “Un giorno in tribunale”. L'autore racconta di una manganellatura ai danni dell'avvocato Mario Caprilli, a cui era stato devastato anche lo studio legale, da parte di tre squadristi. Gasparri racconta l'episodio con tono divertito (“Sdrammatizziamo un po' la vicenda, per fortuna più buffa che tragica”), intercalandolo di battutine, e con una chiusa nel più classico finale a tarallucci e vino: “[Caprilli] Non mantenne alcun rancore verso i suoi manganellatori”. È da vedere quanto nella realtà una persona che veniva fatta oggetto di violenza e umiliazioni solo per le sue idee vivesse le cose con spirito di burla e senza rancore. Oltretutto Caprilli non prese mai la tessera del Pnf, con conseguenze lavorative enormi: per un avvocato diventava difficilissimo patrocinare cause in tribunale.
Sia chiaro, Gasparri, come alcun altro storico elbano, non poteva essere accusato di nostalgie del regime mussoliniano. Oltretutto ho conosciuto lo studioso, liberale di vecchio stampo, ed era piacevole scambiare quattro chiacchiere con questo anziano signore, gentile e colto. Ma allora perché anche i nostri intellettuali troppo spesso sono caduti nel mito “elbani brava gente”?
Lo analizzeremo nel prossimo capitolo.
Andrea Galassi
(nella foto tratta da "Dal rosso al nero di A.Simoncini il Podestà di Portoferraio Epaminonda Pasella)