Ecco che cosa ho imparato da questa serie.
Il mito “elbani brava gente”, come abbiamo visto, si sgretola soprattutto nei momenti di tensione sociale. Non dobbiamo però fare l'errore di pensare che quei momenti ce li siamo ormai lasciati alle spalle, mentre noi viviamo in un'epoca stabile e prospera. In piccole o grandi crisi siamo finiti anche in anni recenti.
L'ultimo scontro sociale pericoloso all'Elba lo abbiamo vissuto appena trent'anni fa, con l'istituzione del parco nazionale. Chi c'era, ricorda l'esasperazione che si raggiunse in quei giorni: ambientalisti fatti oggetti di episodi teppistici e criminali, disastrosi incendi appiccati per ritorsione, agitazioni al limite della sedizione, un blocco del porto, politici pronti a cavalcare le proteste in maniera spregiudicata e irresponsabile. E non si pensi che eravamo tanto lontani dalle tensioni sociali di anni remoti, caratterizzati da lotte violente. Ci possiamo ricadere in ogni momento. Meglio prepararci a evitarlo. Ecco qualche esercizio di allenamento.
Protestare con convinzione e calore, credere con passione a idee patriottiche, religiose o politiche, è sacrosanto. Ma sempre considerando che chi non la pensa come noi è un essere umano, con la stessa passione ma con idee diverse. Non è un nemico da abbattere, ha dei sentimenti e sensibilità da rispettare. Trattarlo da nemico da abbattere è essa stessa una forma di violenza.
Questo significa che ogni idea ha lo stesso diritto? Assolutamente no. Idee violente e criminali (razzismo, omofobia, fascismo, integralismi vari, etc.) non hanno alcuna cittadinanza in una democrazia. Ma questo non significa aggredire la persona. Solo contestare, anche con fermezza, la sua idea. Criminalizzare una persona, trattarlo come un nemico senza dignità, o mostrare disprezzo, significa radicalizzarlo e convincerlo sempre più di essere nel giusto. Cioè spingerlo verso la marginalizzazione, che, non possiamo saperlo, potrebbe essere l'anticamera di un comportamento criminale e violento. Lo so, è difficile restare democratici e dialoganti di fronte a certe manifestazioni ideologiche: ma sono i nervi saldi a salvare dalle catastrofi.
È fondamentale che ogni discorso si fondi su fatti, conoscenze e tanto studio. Contestare le idee sbagliate e non le persone, in quanto tali, che le portano, è un esercizio di ragionamento a ragion veduta e basato su prove dimostrabili. Se si considera il nostro interlocutore un duellante da battere con qualsiasi mezzuccio dialettico, stiamo facendo tutto fuorché argomentare. Col risultato di convincerlo sempre di più in un'idea pericolosa e fuorviante.
Bisogna partire dal presupposto che la stragrande maggioranza degli interlocutori è disposta ad ascoltare e comprendere le idee diverse, ma ci sarà sempre un'esigua minoranza di irriducibili con il paraocchi. Bene, in questo caso è meglio evitare ogni interlocuzione con essi. Quelli col paraocchi sono i più pericolosamente vicini all'estremismo e la radicalizzazione. Meglio evitare di dare loro un'ulteriore spinta verso queste due cose.
Questo ci porta a una conseguenza. L'interlocuzione pubblica con chi non la pensa come noi, in qualunque forma (tramite stampa o qualsiasi altro canale divulgativo), non rimane tra interlocutori: sarà seguita da spettatori passivi ma non meno senzienti e intelligenti. Sovrastare il nostro oppositore, come un pugile da mandare ko, rischia di farci passare per arroganti e prevaricatori, anche se portiamo tesi inattaccabili. Col rischio che non pochi degli spettatori passivi rigettino le tesi giuste, proprio perché propugnate da chi percepiscono come antipatico. La validità di una tesi è vincente anche nella sua esposizione: se è inattaccabile non c'è alcuna ragione di non presentarla in tono chiaro e pacato, se non anche divertente e ironico.
Per queste ragioni è fondamentale l'informazione e la divulgazione accurata, sia nella forma che nella sostanza. Valgono molto più esse del contrasto alle bufale. Queste possono essere spacciate in un lampo, mentre il loro smascheramento richiede molto più tempo e sforzo di ricerca. Invece informazione e divulgazione accurate rendono in automatico le persone più avvertite e “vaccinate” dalle fake news.
Bisogna conquistarsi, anche faticosamente, l'attendibilità fornendo prove inoppugnabili alla giustezza della propria opinione. Non solo il più implacabile degli oppositori non avrà alcuna tesi da opporre efficacemente, ma ci si guadagna stima anche da chi non la pensa al nostro stesso modo. Certo, l'errore può capitare: l'importante è riconoscerlo, rettificare e chiedere scusa. Non c'è niente che farà acquistare più autorevolezza, credibilità e stima dalla maggioranza.
È necessario abituare le persone alla complessità. Le tifoserie prosperano nella semplificazione, nella visione del mondo in bianco o nero. Come ho fatto spesso in questa serie ho cambiato il punto della visuale: quando un autore faceva una considerazione dal suo punto di vista, ne ho proposto un'altra, del tipo proviamo a metterci nei panni dell'”altro”, specie se vittima, e chiediamoci cosa sentiva. Ho inoltre sempre evitato il finale consolatorio: lasciare nell'indeterminatezza e non nella certezza tranquillizzante costringe chi legge alla riflessione, proprio quello che volevo. Non è provocazione, come troppi hanno detto: è appunto complessità. Un punto di vista diverso, se argomentato, anche se confligge con le nostre idee e sensibilità, non è una cosa da buttare nella spazzatura a prescindere, ma un'occasione di arricchimento e uno spunto di riflessione.
Inoltre la complessità, lo spirito aperto a ricalibrare una propria considerazione e a vedere le cose col più ampio ventaglio di punti di vista, ci espone meno al pensiero manicheo e conformistico, che genera mostri come l'autoassoluzione ingiustificata. Una società educata alla conoscenza senza pregiudizi di sé stessa è più inclusiva. E meno credulona alla propaganda di certi mediocri politici. Talvolta fa crescere molto di più un pensiero di noi stessi urticante e scandaloso di quello innocuo e soporifero, che non dà fastidio a nessuno e alimenta i falsi miti in cui ci piacerebbe cullarci. Come ci ha insegnato Hannah Arendt, lo spirito critico e raziocinante non fa cadere in quella banalità e mediocrità che ha reso anonime e grigie persone comuni complici di immondi regimi e responsabili di criminalità.
Una volta tanto ho voluto concludere una serie con una riflessione ottimista. Una proposta per renderci, se non elbani brava gente (che come abbiamo visto significa ben poco), almeno persone un po' migliori. Sperando che sia stata utile e ringraziando chi mi ha seguito fin qui.
Andrea Galassi