Sulla spiaggia di Nisporto fa bella mostra di sé una monumentale fornace per la quale l’architetta Fiorella Ramocogi, in un documento del “Ministero per i Beni e le Attività culturali”, “Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici per le provincie di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara”, già il 3 giugno 2000, invocava un restauro “che deve essere demandato a tecnici competenti anche e in maniera specifica di edificazioni per fornaci oltre ad essere veri conoscitori della storia della fornace stessa. Si sottolinea la fornace della ballerina quale edificio da vincolare come monumento di archeologia industriale”.
Il documento è contenuto nel bel libro “Atlante delle Fornaci”, BetaGamma editrice, proprio a cura della Ramacogi, per conto del Ministero per i beni e le attività culturali. Da allora è passato quasi un quarto di secolo e niente è stato fatto: tutte le fornaci elbane – una quarantina soltanto nella Terra di Rio – sono abbandonate a se stesse e anche la più bella e importante, appunto quella di Nisporto, rischia addirittura il crollo. Il motivo del suo nome “Fornace della Ballerina” merita di essere raccontato: Lucia Galli (1871-1955) di madre riese e padre bolognese, entrata nel corpo di ballo del Teatro alla Scala, dopo una sfolgorante carriera artistica, intorno ai quarant’anni, appese le scarpette al chiodo e abbandonata Milano, scelse l’Elba come scenario alla sua seconda vita, acquistò una grande casa a Nisporto e là si ritirò in splendida solitudine. Lucia non era però tipo da stare con le mani in mano: in breve tempo divenne una vera imprenditrice agricola, coinvolgendo nella sua attività i nisportesi, che la trattavano con rispetto e deferenza – e per i quali era “la Signora Lucia” – ; successivamente, anche in seguito ai danni della peronospora sui vitigni, pensò di acquistare e riattivare la fornace sulla spiaggia della baia, per produrre calce. Fu un’intuizione felice che portò, almeno per un certo periodo, lavoro e benessere. Una G – iniziale di Galli –, ancora oggi visibile, spiccava in bella vista sulla facciata del manufatto.
La produzione della calce figurava infatti tra le attività economiche rilevanti del territorio, come attesta un documento del 1865 conservato nell’Archivio storico di Rio e meritoriamente riportato da Gloria Peria nel suo articolo “Le fornaci da calce della terra di Rio”.
Materiale antichissimo da costruzione, di cui forse furono i Fenici a intuire le potenzialità architettoniche, la sua produzione, già nella seconda metà dell’Ottocento, figurava infatti tra le principali attività economiche, accanto alla “escavazione delle miniere di ferro di proprietà del Regio Governo” alla navigazione, alla viticoltura, alla macinazione di cereali e alla selvicoltura.
E la calce si trova tra i prodotti trasportati dai cento bastimenti di proprietà del Comune, accanto a “minerale di ferro, marmi mischi bianchi e cipollini e a piccole quantità di vino, fichi secchi, agrumi e carbone”. (ibidem)
Dunque, “la Fornace della Ballerina”, costruzione dalle grandi proporzioni, dall’armoniosa fattura, “focus” visivo immediato della bella baia di Nisporto, merita davvero di essere preservata dal crollo e restaurata a regola d’arte, per rispetto della nostra storia elbana, delle persone che vi profusero denari ed energie e per gli operai che vi lavorarono e permisero ai bastimenti di far conoscere fuori dei confini isolani un prodotto tanto apprezzato.
L’appello mio personale e del “Comitato Terra di Rio cultura e ambiente”, di cui faccio parte, è quello di invitare caldamente le istituzioni preposte, anzitutto la Soprintendenza e il Comune di Rio, ad attivarsi con tutte le modalità possibili, a preservare questo gioiello architettonico, sottraendolo all’ingiuria degli uomini e all’oltraggio del tempo.
Maria Gisella Catuogno