L’articolo di Franco Cambi pubblicato nel 2019 e riproposto il 7 febbraio su Elbareport mantiene purtroppo tutta la freschezza dei problemi irrisolti.
In modo essenziale ma incisivo vi vengono disegnate le linee di un programma economico-culturale in grado di valorizzare i tratti comuni dell’Elba orientale evidenziandola come sottoinsieme definito all’interno di una più ampia identità insulare.
L’articolo di Cambi individua attori privati e istituzionali, campagne di ricerca archeo-geologiche e delinea infine una vocazione turistica locale nell’alta cultura, nella didattica e nelle attività sportive (cicloturismo, escursionismo) non legate direttamente alla balneazione. In pratica un percorso in grado di perseguire gli obiettivi di una rifunzionalizzazione territoriale e della destagionalizzazione turistica.
È un’ipotesi pienamente condivisibile cui, da parte mia, aggiungerei un richiamo storico: una struttura in grado di supportare un processo di riconversione territoriale nell’Elba orientale era già stata costituita nel 1991 con il compito di sopperire alla chiusura dell’attività mineraria. Era la Parco minerario e mineralogico dell’isola d’Elba, una società per azioni a partecipazione prevalentemente pubblica – l’ILVA, la Provincia di Livorno e i tre comuni dell’area demaniale – aperta al concorso di soggetti imprenditoriali che l’atto costitutivo voleva “volta al recupero e alla tutela naturale e paesaggistica delle aree demaniali, con mantenimento di un determinato livello occupazionale”. Con la nascita della spa si costituì il primo grande parco minerario italiano ed essa intervenne a pochi giorni di distanza dalla promulgazione della legge quadro sulle aree protette, la 394/1991, che portò nel 1996 alla nascita del Parco Nazionale.
Non esiste purtroppo una storia puntuale della sua vicenda, ma possiamo dire che prima il tramonto dell’impresa pubblica e poi il depotenziamento delle province nel 2015 hanno contribuito alla frammentazione dell’ambizioso progetto nelle due realtà oggi esistenti: quella che fa capo al comune unificato di Rio – la quale mantiene la denominazione originaria - e quella di Capoliveri.
Tutto questo mentre l’esperienza e il successo dei grandi parchi minerari sorti nel nuovo secolo – dal Parco della val di Cornia, al Parco nazionale delle Colline metallifere grossetane, al Parco Museo Miniere dell’Amiata - raccontano una storia di aggregazione territoriale, di sinergie tra enti locali, di ricerca ed evidenziazione di un comune genius loci.
La proposta, ancora attuale, di Franco Cambi richiede dunque anche una riflessione sui percorsi di riaggregazione, se non istituzionale, almeno delle strategie culturali messe in atto dai soggetti significativi del territorio. Una ricomposizione che deve poter contare sul sostegno di istituzioni come il PNAT, la Provincia, la Regione in grado di accompagnare progetti e percorsi mettendoli al riparo dai venti del localismo.
Giuseppe Paletta