La Capanna di Marco, nascosta tra le colline di Cavoli e San Piero, rappresenta un'affascinante testimonianza dell'antica tradizione pastorale che ha caratterizzato questo territorio per secoli. Il suo nome deriva da Marco Palmieri, un possidente del XIX secolo, periodo in cui questa zona contava la più alta concentrazione di ovini dell'isola. Secondo il censimento del 1868, vi erano infatti 3.036 capi su un totale di 5.122.
La struttura è un esempio ingegnoso di come gli abitanti locali abbiano saputo sfruttare le risorse naturali per le loro necessità quotidiane. Il manufatto è stato realizzato chiudendo con un muro a secco una formazione rocciosa nota come "tafone", creata dall'erosione di vento e salsedine. Questo tipo di struttura offriva un riparo naturale, utilizzato dai pastori non solo per proteggersi dalle intemperie, ma anche per conservare le attrezzature necessarie alla produzione di formaggi e ricotte.
L'uso del tafone come base per la capanna mostra un'eccezionale capacità di adattamento all'ambiente circostante. I tafoni, caratterizzati da cavità e sporgenze naturali, fornivano una base robusta e parzialmente preesistente, riducendo significativamente il lavoro necessario per costruire un riparo efficace. La scelta di utilizzare un muro a secco non solo rifletteva l'abbondanza di blocchi di granito nella zona, ma anche una tecnica costruttiva che permetteva la traspirazione, mantenendo un microclima interno ideale per le attività pastorali.
Davanti alla capanna, più in basso, si trova un recinto costruito con un basso muro a secco. Questo recinto era essenziale per la gestione del gregge di capre, utilizzato per la mungitura e per garantire agli animali un riparo sicuro durante la notte. L'abilità nel costruire questi recinti con materiali semplici ma efficaci dimostra la conoscenza e l'adattabilità dei pastori locali.
La gestione del gregge era un'arte tramandata di generazione in generazione. La disposizione del recinto, spesso situato in aree ben ventilate ma protette dai venti forti, era studiata per massimizzare la sicurezza e il benessere degli animali. Le capre, animali particolarmente resistenti ma anche vulnerabili ai predatori, necessitavano di un riparo che fosse sia accessibile che difendibile. I pastori utilizzavano inoltre tecniche specifiche di rotazione dei pascoli per evitare il degrado del terreno e assicurare una dieta equilibrata agli animali.
La pastorizia ha sempre avuto un ruolo cruciale in quest'area, fin dall'antichità. Le prime testimonianze risalgono al periodo subappenninico (1300-1150 a.C.), quando le pendici del Monte Capanne erano popolate da numerosi piccoli villaggi. Le genti di quell'epoca si dedicavano principalmente all'allevamento del bestiame, un'attività che ha continuato a prosperare nei secoli successivi.
L'allevamento ovino non era solo una fonte di sussistenza, ma anche un elemento centrale dell'economia locale. La lana, il latte e la carne degli ovini erano risorse preziose che venivano scambiate e commerciate, contribuendo alla crescita economica della zona. La pastorizia richiedeva una conoscenza approfondita del territorio, delle stagioni e delle esigenze degli animali, conoscenza che si rifletteva nelle pratiche quotidiane e nei rituali legati alla transumanza.
Oggi, "La Capanna di Marco" non è solo un interessante sito storico, ma anche un simbolo della capacità di adattamento delle comunità locali. Rappresenta un legame tangibile con il passato e un esempio di come le tradizioni pastorali abbiano plasmato il paesaggio e la cultura della zona, visitarla significa immergersi in una storia millenaria, dove la natura e l'ingegno umano si fondono in un equilibrio perfetto. Questo sito, con la sua semplicità e funzionalità, offre uno sguardo affascinante su un modo di vivere che, purtroppo, sta scomparendo, ma che continua a vivere nei racconti e nelle tradizioni delle genti locali. La capanna è un ricordo delle radici pastorali della zona e una testimonianza delle tecniche costruttive e delle conoscenze ecologiche sviluppate dai pastori nel corso dei secoli.
Questo luogo rappresenta l'interazione armoniosa tra uomo e natura, una testimonianza di come le tradizioni possono plasmare un territorio e la sua cultura. Mentre il nostro mondo continua a evolversi, è importante preservare e valorizzare queste testimonianze, affinché le future generazioni possano comprendere e apprezzare le radici storiche e culturali della loro terra.
Gian Mario Gentini