È difficilissimo immaginarsi il lavoro nelle miniere elbane, agli albori dell'estrazione del ferro.
È impossibile anche solo stabilire se l'escavazione avvenisse in galleria, come era usuale in molte miniere, soprattutto di epoca romana (anche quelle vicine del campigliese), o a cielo aperto. Diverse sono le segnalazioni di autori sette/ottocenteschi sulla presenza di gallerie antiche, lunghe anche un centinaio di metri. Ma le escavazioni successive hanno cancellato le tracce di queste grotte, insieme agli indizi che potevano assicurare una datazione.
Paolo Savi, nel 1836, fa riferimento a una Grotta Romana, nella miniera di Rio Marina, facendola appunto risalire all'epoca romana, e in cui, afferma, furono rinvenuti utensili. Ma tutto rimane alla consistenza di semplici testimonianze e a indicazioni troppo vaghe, ormai non più verificabili per stabilire datazioni affidabili.
Ma la cosa che mi interessa di più è il fattore umano. Chi e come si lavorava nelle miniere isolane in tempi antichi? Probabilmente non lo sapremo mai per le prime estrazioni e per il periodo etrusco. Possiamo fare qualche considerazione in più su quello romano.
Nelle grandi miniere del continente è certo l'uso di schiavi. Pur non escludendone la loro presenza all'Elba, non si può neanche escludere che la manovalanza fosse costituita solo da lavoratori liberi, data la piccola estensione degli scavi, che forse interessavano solo la zona del riese e poco altro, e soprattutto la probabile limitata consistenza delle “imprese” che operavano l'estrazione. Certo, il proprietario del suo lotto minerario doveva avere operai, liberi salariati o schiavi che fossero, ma in numero risicato.
Anche ammesso (ma non concesso, alla luce delle evidenze attuali) che le miniere in epoca romana toccassero tre poli estrattivi (Rio Marina, Terranera e Calamita), stiamo parlando di un'estensione di una manciata di ettari, sufficiente all'impiego di maestranze sull'ordine delle decine di persone l'anno, difficilmente oltre le 200/300, di cui una parte di personale non schiavistico.
Un recente studio di ricercatori tedeschi (“The furnace and the goat”) asserisce giustamente: “Ciò che rende difficile la stima delle persone coinvolte nell'estrazione mineraria è il fatto che non abbiamo a disposizione dati che diano informazioni sull'intensità dell'estrazione nel corso dei secoli. […] Con i dati disponibili, sembra che il numero dei lavoratori potesse ammontare a circa 500 nella fase di massima estrazione”.
Peraltro la consistenza per così dire minima degli appaltori della cava di Rio Marina, si riscontra in un altro periodo storico aureo per l'escavazione e la lavorazione metallurgica del ferro all'Elba, e molto meglio documentato: i secoli XI-XIV.
Nonostante il grande fermento produttivo di questa fase e l'estensione delle miniere fosse più o meno simile ai tempi antichi (limitata al solo territorio riese), i lotti minerari erano appaltati da Pisa a “terrieri”, che potevano essere coadiuvati da un solo socio, il “mezzajuolo”. Pur non escludendo che alcuni terrieri potessero avere dei sottoposti, non dovevano essere in gran numero, dato la piccola consistenza degli appalti. Nel 1374 il registro del doganiere segna 77 cavatori attivi: è stato calcolato che essi avessero tra i due e i quattro soci o dipendenti. Quindi, come si vede, siamo in linea con i numeri stimati con l'epoca romana.
Tuttavia è plausibile la considerazione di Alessandro Corretti, secondo cui in epoca romana, soprattutto tra la fine del III e gli inizi del I secolo a. C., quando l'escavazione era al suo massimo, ai piccoli proprietari potrebbero essersi aggiunti sfruttatori ben più facoltosi, che potevano permettersi maestranze numerose, infoltite anche da schiavi. Ma dire, come fanno gli autori di un buon saggio come “Meloa” (Pontedera, 2013) che “moltitudini di schiavi abbiano calcato il suolo elbano” per i lavori minerari, è un'esagerazione.
A smontare un'immagine (tra l'altro, in generale, più hollywoodiana che reale, anche in teatri molto più consistenti di quello elbano) di masse schiavistiche all'isola, può esserci una ragione di sicurezza. Concentrare una folla di schiavi, in numero soverchiante la popolazione libera, e in un territorio ristretto e difficilmente presidiabile come l'isola, poteva essere molto pericoloso in caso di sommosse, tutt'altro che infrequenti nel mondo antico.
È molto difficile dire se gli stessi proprietari o la parte per così dire tecnica fossero stabilmente residenti sull'isola, e quindi da considerarsi elbani, o venissero da fuori. Corretti, pur non escludendo la prima ipotesi, avanza la possibilità di una presenza professionale di origine greca, soprattutto in epoca etrusca.
Un settore economico importantissimo come quello legato all'estrazione e la lavorazione del ferro in un'area vastissima, come quella mediterranea, aveva interessi altrettanto vasti: non apparirebbe strano dunque se nelle miniere dell'Elba lavorassero in ogni ruolo persone che arrivavano dalle più lontane regioni e parlavano le più diverse lingue. Gli elbani come una popolazione multietnica ante litteram. Ipotesi dunque affascinante, ma, dobbiamo specificare, solo ipotesi allo stato attuale delle conoscenze.
Molto probabilmente il modo di lavorare dei tempi antichi non dev'essere stato dissimile da quello anche non molto lontano dai nostri. Gli utensili impiegati in miniera dovevano essere pochi e semplici, come mazze e cunei, picconi e pale; mentre per portare il minerale si usavano molto probabilmente ceste di vimini, quelle che poi gli elbani conosceranno col nome di coffe. È stato ipotizzato che i banchi rocciosi venissero indeboliti accendendovi sopra un fuoco e raffrendandoli repentinamente con l'acqua.
Altra ipotesi, nel caso che l'estrazione avvenisse in gallerie soggette a infiltrazioni d'acqua, che venissero utilizzate ruote lignee o viti senza fine per togliere l'acqua, come mostrano ritrovamenti in altre miniere di epoca romana.
p.s. L'interessante studio citato dei ricercatori tedeschi è disponibile anche online al seguente indirizzo:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7661058/
Alcuni importanti contributi sulle miniere elbane in epoca antica e medievale di Alessandro Corretti sono altrettanto disponibili, soprattutto su academia.edu
Andrea Galassi