Vedendo in giro per i social le foto delle coppie belle e felici che scelgono di sposarsi a Marciana Marina per farne lo scenario romantico di un bellissimo ricordo, mi sono venuti in mente, come lampi e poco più, la scene di altri matrimoni – o meglio sposalizi - ormai lontani di quelli che potrebbero essere i nonni dei nuovi sposi.
Mi è venuto in mente la facciata scrostata di Santa Chiara, di fonte alla Secca e accanto al Bar Atlantic, le botteghe di alimentari e i macelli, Piero il barbiere, Ida e Nilo già nel forno. E dall’altra parte la Farmacia e la Navigazione Toscana e la bottega di Parigi.
Non mi ricordo di aver mai assistito da bimbo a un matrimonio in Chiesa (in Comune non esistevano nemmeno nella mente del più ardito comunista), ma mi ricordo gli sposi uscire sotto una pioggia di riso, circondati da gente vestita bene, come se fosse Natale o Pasqua.
Mi ricordo che da come erano vestiti gli sposi e chi tirava il riso (e se erano invitati o no i nostri genitori) capivamo se erano ricchi o poveri. Ma la ricchezza o la povertà di quei ragazzi giovanissimi che a noi sembravano già vecchi la si capiva meglio da cosa lanciavano gli sposi appena usciti dalla Chiesa.
Lì di fronte, sul sagrato di sassi che disegnano simboli strani ma così usuali per noi da non accorgersene, c’eravamo noi ad aspettare che lo sposo e la sposa lanciassero manciate di confetti che ci contendevamo tra spinte e calci, raccattandoli dove poco prima era passato tutto lo sposalizio e ancor prima tutto il paese, tra le cicche e gli sputi. Se c’erano i confetti gli sposi qualche soldo ce l’avevano.
C’erano invece degli sposi, pochi ma i nostri preferiti, che lanciavano anche 10 e 20 lire e a volte addirittura 50 o 100 che noi cercavamo di prendere al volo, o meglio al suono, appena rimbalzavano sui sassi. Lì gli spintoni si trasformavano in manate e cazzotti e per 100 lire ci poteva essere anche un round di lotta libera. Se c’erano i soldi e la cazzottata per la riffa tintinnante, allora gli sposi erano ricchi o volevano far credere di esserlo.
Poi gli sposi che qualche soldo ce l’avevano e quelli ricchi o che volevano far credere di esserlo facevano i rinfreschi al ristorante ai quali partecipava fisso – con dispensa speciale da sacrestano - Antonio “Gogo” Serena che, dopo essersi rifocillato e impellato, faceva un fagotto con tutto quel che c’era di buono e se lo portava a casa abbandonando la sollevata compagnia, non senza prima aver tentato di baciare la sposa.
Noi, con le tasche piene di confetti e a volte con qualche soldo. cercavamo di infilarci al rinfresco per sbafare un panino farcito, un dolce o magari un pezzo di torta nuziale. E anche qui gli sposi si dividevano in due: quelli che temporaneamente ci tolleravano (di solito quelli che tiravano i confetti) e quelli che ci facevano mettere fuori a pattoni nel topezzo e calci in culo (di solito quelli che tiravano i soldi).
A dire il vero c’era anche un terzo tipo di sposi: gli amici e le amiche delle nostre mamme e dei nostri babbi che non tiravano confetti e soldi: matrimoni da una scatola di riso e viaggi di nozze a Livorno, che finivano con un pranzo da qualche parte dove si poteva suonare una fisarmonica e una chitarra e bere vino.
Erano i matrimoni dove eravamo invitati anche noi, vestiti come imitazioni di bimbi bravi.
A volte Matrimoni nervosi, fatti di furia. riparatori.
Matrimoni nervosi anche per noi perché lì eravamo sotto controllo stretto e alla fine gli schiaffi ce li davano le nostre mamme e il calcio in culo col pattone sul topezzo per mandarci via a far casino da un’altra parte ce li davano i nostri babbi.
Umberto Mazzantini