“Eppur si muove” qualcosa, intorno al destino del Mausoleo Tonietti del Cavo, familiarmente chiamato La Cappella dalla gente del posto. Dopo quasi un secolo di progressivo abbandono e degrado - da quando fu costruito a inizio Novecento come tomba di famiglia e omaggio monumentale al fondatore della dinastia, e primo concessionario delle miniere Giuseppe Tonietti, ma mai autorizzato per la sepoltura dell’illustre personaggio e tanto meno dei suoi eredi - finalmente oggi il più importante manufatto elbano dell’architetto Adolfo Coppedè (Firenze, 29 aprile 1871 – Montemurlo, 15 agosto 1951) è oggetto d’attenzione da parte del Ministero del Lavoro e della Promozione sociale, grazie alle sollecitazioni di Leonardo Preziosi, presidente di Italia Nostra Arcipelago Toscano. Non illudiamoci: lo Stato non finanzia il restauro e la “resurrezione” del Bene, dopo decenni di vandalismo e decadenza, tanto più che esiste un proprietario privato, però concede una somma, seppure modesta (circa E.5000), utile per rilanciare il problema, farne conoscere la gravità ed avviarlo alla soluzione.
Il crinale del Monte Lentisco, dove sorge, era caro al sor Giuseppe come meta delle sue passeggiate, perché aperto sul canale, gli isolotti e la prospiciente costa Toscana e ombreggiato - oggi più di ieri - da una folta e profumata macchia mediterranea. Quel luogo, fino a una cinquantina d’anni fa, o forse meno, radunava nel Lunedì dell’Angelo, centinaia di persone provenienti dal paese per la tradizionale gita fuori porta condita da riso, baldoria, canti, balli, vino e sportelle. La radura intorno al Monumento, attualmente scomparsa in quanto assediata dalla vegetazione, era vasta al punto da permettere partite di calcio tra scapoli e ammogliati e la sosta gioiosa di decine di gruppi di “campeggiatori” improvvisati.
La strada per arrivarci si snodava - e si snoda tuttora – tra i tornanti di una bella pineta e l’arrivo coincideva con l’improvvisa apparizione di quel torrione enorme, a forma di faro, che incuteva nei bambini, ma forse anche in qualche adulto più sensibile, una eccitante sensazione di inquietudine, con le sue decorazioni sibilline - mascheroni leonini, rostri, figure zoomorfe – la pesante cancellata in ferro battuto, gli oblò per rischiarare l’interno, l’imponente gradinata d’accesso, il gufo stilizzato che sormontava la scritta Famiglia Tonietti.
Il diniego del permesso alla sepoltura, se da un lato ha umiliato l’arroganza di Ubaldo, l’erede di Giuseppe, che si illudeva di non finire i suoi soldi pur buttandoli a palate, e ha decretato un principio di egualitarismo almeno oltre la morte, dall’altro ha segnato il destino infausto della Cappella, che oggi appare, pur nella maestosità che ancora conserva, abbandonata alla definitiva rovina se non si interviene presto e bene a soccorrerne la staticità e l’estetica.
Ben venga dunque il progetto INAT, che “ha l’obiettivo di creare e valorizzare una comunità patrimoniale che si occupi del Bene”; definisce un piano di comunicazione attraverso la stampa ed altro per la sensibilizzazione del pubblico, mettendo a disposizione un ulteriore migliaio di euro; include le scuole coinvolgendo due quinte classi delle superiori; assegna una borsa di studio ad un laureando in architettura per l’elaborazione di una tesi sull’argomento; collabora con due studenti italiani della Columbia University con “esperienza in consulenza manageriale e volontariato no profit” che facilitino la raccolta fondi con donatori e istituzioni”; organizza un convegno con la partecipazione di esperti di architettura e conoscitori dell’opera; e, nell’immediato, propone per il prossimo 28 settembre una passeggiata/mobilitazione con sopralluogo al Mausoleo di soci, partner (Comune di Rio, Parco Nazionale Arcipelago Toscano, Terra di Rio cultura e ambiente, Fondazione Isola d’Elba, CAI) studenti e cittadini.
Dunque, tutti sono invitati, residenti e ospiti, cavesi di nascita e d’adozione ed elbani degli altri paesi: per cominciare a trasformare le lamentele e le denunce di decenni in un impegno concreto; per esprimere non solo a parole ma nei fatti l’amore verso il territorio di quest’Isola; per non permettere, se si può evitarlo, che la rovina del tempo ma soprattutto l’incuria umana abbiano il sopravvento.
Maria Gisella Catuogno