Recentemente si è conclusa la decima edizione dell’Elba Book Festival, dedicato all’editoria e alla cultura indipendente, che da martedì 16 a venerdì 19 luglio 2024 ha visto scrittori e artisti incontrare editori e giornalisti in quello che è ormai il ritrovo culturale estivo per eccellenza sul Tirreno.
È stato l’attenzione il tema dell’edizione di quest’anno. Molteplici le sfumature in cui è stato declinato: attenzione all’uso consapevole delle parole, al territorio, all’ambiente, all’educazione, attenzione quale processo cognitivo da allenare affinché si impari a selezionare i tanti stimoli che arrivano in ogni momento ma di più a ignorarne altri, in una società congestionata da informazioni spesso opportunistiche e fuorvianti. Soprattutto, attenzione come consapevolezza.
Vogliamo salutare questa edizione del Festival riflettendo insieme ad alcuni scrittori e intellettuali sul rapporto tra attenzione e letteratura.
Certamente, l’attenzione nella letteratura (si dica pure: nell’arte) mitiga l’assolutezza della muta negazione della realtà e così getta un ponte sull’abisso del nulla tentando un avvicinamento tra mondi che si escludono. Essa può essere letta come il tentativo di trovare una risposta, lo sforzo e la capacità di registrare e raccontare ciò che accade veramente. Tuttavia l’autenticità a cui tende la letteratura e di cui vuole essere riflesso sfuma spesso in una crescente (quanto evidente) consapevolezza dell’impossibilità di riportare in un’opera letteraria il dato reale.
Eppure solo la scrittura può tutelare da quella ostilità oscura e irriducibile insita nella mancanza di autenticità che contamina e sconvolge ogni realtà. Cercare di capire le intime relazioni causali tra i fatti come tra i fatti e i loro effetti, recuperare quella dimensione autentica tramite la scrittura è infatti presupposto necessario per comprendere il mondo.
La poesia, il romanzo, il dramma, il saggio sono il solo modo e la sola opportunità che abbiamo per intendere il rapporto con la vita. La scrittura ci riscatta dalla colpa della disattenzione: scrivere vuol dire riportare la propria attenzione sulla propria esistenza.
In tal senso indagare il tema dell’attenzione in letteratura vuol dire provare a spiegare le cause che provocano la sospensione dell’attenzione, il perché della disattenzione.
Mauro Barbetti, L’attenzione dalla psicologia alla letteratura
BUGS
ci sono teorie sugli errori mnesici
e quindi infiniti modi di sbagliare:
distorsioni labilità o crepe
oppure il bug d’un secolo breve
(che di tanto ci dura una vita)
e cosa ricorderà domani
chi lo ricorderà e come
in questa cattiva attribuzione
anche all’errore ci si abitua
sarà che in tempi postmoderni
la verità non c’è oppure sta scissa
come quel nome che avresti in testa
o un’idea non fissa che non ne vuol
sapere di rendersi manifesta
Gli studi di psicologia cognitiva condotti sin dalla fine degli anni Cinquanta ci hanno consegnato un quadro di riferimento comunemente accettato, secondo cui l’attenzione umana si dividerebbe in tre funzioni principali: 1) attenzione sostenuta, capacità di mantenere un livello appropriato di concentrazione per completare un singolo compito complesso; 2) attenzione selettiva, capacità di raccogliere e selezionare tra le varie informazioni quelle più rilevanti; 3) attenzione divisa, capacità di gestire contemporaneamente più compiti.
Chiunque lavori in campo educativo sa quanta importanza rivesta la funzione attentiva nel processo di istruzione e quanta cura richieda l’ambiente di apprendimento e l’eliminazione, l’attenuazione o, nel grado più alto di consapevolezza, l’autocontrollo degli stimoli distraenti.
Certo oggi l’influenza di sorgenti esterne è molto aumentata rispetto alle generazioni precedenti (basti pensare all’aumento dell’inquinamento sonoro nella nostra vita, inquinamento dato non solo dal semplice rumore di sottofondo, magari controllabile attraverso l’allenamento della cosiddetta attenzione selettiva, ma da tutta una serie di dispositivi e apparecchiature che riempiono a vario titolo la nostra vita – tv, pc, dispositivi di riproduzione sonora, smartphones ecc.) e che ci coinvolgono quasi a rendere impossibile una condizione di assenza di stimolo o di quiete, vissuta ormai come anticamera della solitudine o dell’isolamento personale.
Recenti studi sulla modificazione delle capacità attentive nella generazione dei nativi digitali, condotti soprattutto durante quel periodo di laboratorio coatto che si è rivelato essere la pandemia da Covid e la conseguente necessità di ricorso alla didattica a distanza, ci dicono di una perdita sensibile nella durata media dell’attenzione dei giovani e/o di una sua diversa qualità funzionale, con diminuzione di capacità di attenzione sostenuta e aumento, invece, dell’attenzione divisa, dunque di una sempre maggiore capacità di saltare tra lavori diversi e di una minore di approfondire il singolo compito.
Tutto ciò pare aver avuto un suo corrispettivo anche in campo letterario: il post-modernismo, infatti, sembra esaltare la capacità di ibridare e toccare generi diversi, di aumentare le trame all’interno di un testo a scapito di uno sviluppo più classico e lineare, di privilegiare un impianto più ambiguo e concettuale rispetto ad uno più basato sul sentimento e sull’assertività di un messaggio da parte dell’autore.
Mauro Barbetti, è nato in Ancona e vive in Osimo (An). Scrive poesia. Insegna inglese nella scuola primaria.
William Bavone, Attenzione in letteratura
Parlare di attenzione in letteratura, oggi, rappresenta soprattutto un monito a chi scrive, a chi si assume la responsabilità di raccontare una storia. Viviamo anni di leggerezza in cui tutto è fruibile con immediatezza. Con poche righe crediamo di assimilare informazioni, notizie e conoscenze. Chi scrive ha la responsabilità di rallentare il mondo, contrastare questa corsa forsennata. Non possiamo spostare l’arte dello scrivere sui binari del consumismo, non è giusto. Oggi si ha la percezione che chiunque possa raccontare una storia e che un libro sia una delle tante forme di intrattenimento disponibili. Non possiamo cadere in questa trappola: chi scrive ha il dovere di porre attenzione e preservare lo strumento della narrativa per raccontare qualcosa che vada ben oltre l’ovvio. La letteratura ha il dovere intellettuale di raccontare la società attuale, di preservare la memoria, di scavare nelle profondità dell’animo umano. Un approccio narrativo che prescinde dalla catalogazione di genere perché anche questa si traduce in espediente o strumento mediante il quale veicolare il proprio messaggio. L’attenzione in letteratura trova la sua massima realizzazione nell’aiutare il lettore nella riscoperta della propria fantasia e delle emozioni in un più ampio senso di umanità oggi in pericolo.
William Bavone, classe 1982, è salentino di nascita e parmense d’adozione. Laureato in Economia, ha al suo attivo saggi di geopolitica, romanzi, novelle per bambini e vari racconti inseriti in diverse antologie e pubblicati singolarmente. “Il morso del varano” è il suo primo romanzo pubblicato con la Newton Compton.
Giuseppe Grosso Ciponte, L’attenzione in letteratura
L’attenzione in letteratura ha a che fare, credo, con una dimensione che con la letteratura non sembra entrarci molto: la velocità.
C’è una velocità del pensiero, spesso incontrollata, che viaggia per i fatti suoi anche quando sembriamo non avere idee. C’è invece la lentezza della scrittura: la penna, la macchina da scrivere, la tastiera, perfino la dettatura sono tutti strumenti più lenti del pensiero.
Essi inseguono il pensiero, ma allo stesso tempo devono sfruttare con attenzione quella differenza di velocità che è nella loro natura. In questa difficoltà, mentre il pensiero si sforza di prendere materialmente forma sulla pagina c’è lo spazio per chi scrive di plasmare e raffinare le idee, che altrimenti correrebbero sempre più veloci della sua mente.
C’è la lentezza della scrittura e c’è poi la velocità della lettura.
La scrittura, anche veloce, ingolfata su personaggi, trama, incongruenze, refusi, anacronismi, parti inutili.
La lettura invece, anche se lenta, è sempre più veloce: un romanzo di ottocento pagine, magari scritto in tre anni di lavoro a tempo pieno, può essere divorato in quindici giorni o anche in una settimana. Gli scrittori quasi tutti intercambiabili per il mercato, i libri dopo un anno già fuori catalogo.
La letteratura, anche quella che resta nelle antologie, è sempre alla rincorsa di un lettore infedele: al mattino ha terminato un giallo di Agatha Christie, al pomeriggio attacca a leggere Calvino, senza che questo gli crei particolari problemi.
L’attenzione in letteratura, da parte di chi scrive, dunque mi sembra sia soprattutto l’abilità e l’ossessione di viaggiare contemporaneamente a tre velocità diverse: pensiero, scrittura, lettura, sapendo che quest’ultima, fosse anche quella di tua moglie o di tuo marito, ti tradirà sempre.
Giuseppe Grosso Ciponte (Belvedere Marittimo, 1974) ha pubblicato “Gola profonda” (con Piero Calò; Lindau, Torino, 2007), “L’anno della clessidra orizzontale” (Bibliotheka, Roma, 2019), “La giornata dell’ornitorinco” (con William Bavone e Gabriele Giuliani; Fides, Bari, 2022).
Marco Di Pasquale, Volgersi all’altro: un’attitudine del poeta
Ogni gesto di creatività che possa definirsi poesia ha a che fare con la parola che la pensa per descriverla, che ne perimetra l’azione e la funzione, che allestisce un campo di dialogo in cui chi ha creato e chi riceve il prodotto.
Tuttavia, questo assunto alquanto banale non potrebbe essere applicabile se, sullo sfondo, non venisse attivato e potenziato da una caratteristica che, almeno a parere di chi scrive, è imprescindibile nell’agire poetico, e che chi scrive versi deve quotidianamente praticare, ovvero l’attenzione.
Visto che siamo partiti dal concetto che la parola conta, non possiamo non ricordare che contano anche le sue radici, la sua formazione gestazionale: l’attenzione scaturisce e coinvolge un movimento, una postura che non si limita a guardare la strada su cui ci siamo incamminati, bensì sposta il respiro in direzione dell’altro verso cui ci volgiamo. In questa azione sta la nascita di una complicità, di una comunità degli intenti che non mette sul piatto della bilancia il mio ed il tuo, ma che avvicina e coinvolge unendo i pesi.
Nel nostro gesto di aprire le mani, lo sguardo, l’orecchio sta la chiave di sintonia, poiché disporsi all’ascolto è un esercizio che deve compiere ogni fibra di noi, altrimenti non facciamo altro che accettare l’altro da cui però vogliamo qualcosa in cambio. Va da sé che, se apriamo la nostra concentrazione a chi ci viene incontro, non possiamo che avere cura: non possiamo che chiamare in causa questo vocabolo enorme e purtroppo, nel pubblico dibattito, smussato della sua originaria e rivoluzionaria peculiarità, che comporta una dimenticanza della densità dello spazio che ci divide a favore di un’intelligenza e di una comprensione che non possiamo che utilizzare nella loro potenza etimologica.
Ogni volta che si pensa a questi detonanti asserti, non può che tornare in mente quel commovente passo dell’amatissimo Vittorio Sereni che, per sottrazione del soggetto che gli possa prestare ancora attenzione come il poeta avrebbe desiderato e necessitato, ci pennella splendidamente cosa si perde in questi casi:
Di tunnel in tunnel di abbagliamento in cecità
tendo una mano. Mi ritorna vuota.
Allungo un braccio. Stringo una spalla d’aria.
Invece, il compito del poeta resta pervicacemente quello di sostituirsi a quella spalla d’aria, colmare la solitudine e cancellarne il dolore, mettere una domanda in mano a chi potrà darci un indizio di risposta, con quella complicità che spesso, nella voracità del contemporaneo, dimentichiamo essere la più solidale e appagante delle doti umane.
Marco Di Pasquale, classe 1976, vive ed opera nelle Marche. Ha pubblicato “Il fruscio secco della luce” (2013), “Formula di vapore” (2017) e “Dai sentieri divorati” (2019).
Gabriele Giuliani, L’attenzione
L’attenzione in campo letterario ha sempre assunto, a mio avviso, una duplice valenza e significato.
L’attenzione che deve avere il lettore nel leggere un brano, un romanzo, per essere proiettato all’interno della storia dedicando ogni attenzione al testo fino all’immedesimazione.
L’attenzione, conscia o inconscia, del lettore non è un atto di cortesia nei confronti del libro, ma testimonianza di interesse e passione verso la storia che sta leggendo, verso i protagonisti che la rendono reale o così interessante ai suoi occhi.
Questa attenzione può anche essere una riverenza nei confronti dei libri o degli autori, o al “sapere” implicito che un libro porta con sé, ma forse queste visioni ottocentesche sono oggi echi lontani di un tempo in cui la letteratura era “alta” mentre oggi la narrativa di consumo ha spostato l’asticella verso l’evasione mentale. Ma anche in questo caso l’attenzione è importante, ma nel suo secondo significato.
L’attenzione che l’autore deve porre nella sua scrittura affinché il lettore non si stacchi da quella lettura.
La bravura dello scrittore nel catturare l’interesse del lettore che è alla base della costruzione di un testo.
Attenzione alla trama a cui si è pensato, cura nel lavorare intorno al nucleo dell’idea avendo qualcosa di originale e diverso da veicolare, attenzione verso la scelta dei personaggi, del protagonista, del narratore. Il giusto tempo verbale, una corretta struttura, una tensione narrativa che coinvolga il lettore donandogli l’agognata attenzione.
A ben guardare l’attenzione è sempre la stessa.
Attenzione o cura dell’autore nella stesura del testo per garantire l’attenzione al testo stesso da parte del futuro lettore.
Sono due aspetti dicotomici ma incredibilmente simili specie nel risultato finale. Partono da presupposti differenti per arrivare insieme al traguardo.
Per dare e ricevere attenzione è necessario porre attenzione.
Verrebbe da dire che è così nella vita, ma in fondo la narrativa non è l’espressione della vita stessa?
Gabriele Giuliani (Roma, 1974), laureato in Scienze dell’Educazione, vive in Umbria e lavora nel campo della formazione e come editor. Ha pubblicato “Le tre vie” (Les Flaneurs, Bari, 2024), “La giornata dell’ornitorinco” (con William Bavone e Giuseppe Grosso Ciponte; Fides, Bari, 2022), “La vita tragicomica” (Augh!, Viterbo, 2019), “La vita sempre più tragicomica” (Augh!, Viterbo, 2021), “Il palazzo dei sette portoni” (Bertoni, Marsciano, 2020), “Il giorno prima delle nozze” (Montag, Tolentino, 2018).
Ringrazio tutti gli amici autori che hanno accettato di partecipare con generosità e passione a questo esperimento di scrittura condivisa: a loro tutta la mia indefessa stima, intellettuale e umana. Tengo a precisare che il progetto iniziale includeva anche un contributo di Nerio Vespertin, che, per ragioni editoriali data l’estensione del testo si è pensato di pubblicare separatamente.
Manuel Omar Triscari