È il due settembre 1849 e sono quasi le tre di un pomeriggio tipicamente estivo: cielo terso, sole alto, mare teso di levante: una filuga con la sua vela latina punta sul villaggio del Cavo, detto anche di Capo Castello, per la torre di controllo posta sul promontorio che più si spinge nel Canale di Piombino.
La barca è occupata da cinque persone: il capitano marittimo Paolo Azzarini, detto Ipsilonne, abitante a Rio Marina sebbene ligure di nascita; il padre di lui; un marinaio di Capoliveri e due fuggitivi, nell’occhio del mirino degli austriaci, dei papalini e delle guardie del Granducato di Toscana.
Il più prestante nel fisico, rosso di barba e di capelli è Giuseppe Garibaldi, marinaio, generale, reduce di mille battaglie; l’altro, agile e asciutto nel fisico, perciò chiamato da tutti Leggèro, è maggiore ed è il più garibaldino tra i garibaldini.
L’abbigliamento dimesso li fa assomigliare a due commercianti che cercano sull’Elba nuove piazze per i loro modesti prodotti (…) a San Bennato, Tommasino, che è generoso e cordiale di carattere, invita Paolo Azzarini e i suoi ospiti a mangiare un boccone da lui e a bere un bicchiere di vino: devono solo attraversare la strada! Tra l’altro è solo, la moglie è andata a trovare la vecchia madre e possono fare due chiacchiere insieme, prima di riprendere il mare (…).
M. Gisella Catuogno
Nella foto la casa di Tommasino