Lunedì 9 Settembre 2024 si è tenuta nel Museo del Mare di Capoliveri la conferenza “Polluce, storia e ritrovamento” di Sauro Tagliatti, studioso ed esperto di archeologia subacquea, che ha illustrato le intricate vicende che interessarono il piroscafo che dall’uno tra gli eroici gemelli e venerati protettori dei marinai detti Dioscuri prende il nome Polluce dal momento del misterioso affondamento avvenuto al largo delle coste elbane la notte del 17 Luglio 1841 fino al ritrovamento del relitto e del suo inestimabile tesoro nel 1990 e all’ignominioso trafugamento e successiva dispersione di quest’ultimo nell’anno 2000.
Sauro Tagliatti, classe 1947, nato in Rero di Ferrara ma torinese per elezione, appassionato di storia marina ed subacqueo di lungo corso, è intervenuto per fare chiarezza sull’annosa questione dell’inabissamento del Polluce cercando di gettare uno spiraglio di luce sugli intrighi e i retroscena del tormentato ritrovamento e successivo trafugamento del tesoro trasportato a bordo del piroscafo e così dissipare un po’ dell’alone di inquietante mistero che ancora avvolge la prima grande tragedia della Marina Mercantile Italiana, avvenuta ormai quasi 200 anni fa.
La notte del 17 Luglio 1841 il piroscafo Polluce, di proprietà della compagnia “Rubattino - De Luchi” presieduta dal genovese Raffaele Rubattino e diretto a Civitavecchia, s’inabissò nelle acque dell’Elba a 4 miglia dalla costa e 103 metri di profondità, in un tratto di mare compreso tra la zona denominata Capo Calvo e il paese oggi chiamato Porto Azzurro (all’epoca Porto Longone), a seguito dello speronamento da parte di un altro piroscafo, il Mongibello, battente bandiera del Regno delle Due Sicilie e diretto a Napoli.
Raffaele Rubattino era un rampante imprenditore che, dopo essersi in gioventù interessato di politica aderendo da subito alla Giovane Italiana, scoprì ben presto la sua vera vocazione per l’attività imprenditoriale: nel 1837 acquistò dai cantieri Normand di Le Havre in Francia i piroscafi Castore e Polluce, moderne navi gemelle con propulsione alimentata da turbina a vapore che nelle intenzioni dell’armatore avrebbero collegato Marsiglia con Napoli attraverso i porti di Genova, Livorno e Civitavecchia, favorendo così e rendendo più veloce ed efficiente il trasporto di persone e di cose.
La perdita della nave fu un duro colpo non solo per l’imprenditore genovese: è possibile che a bordo del Polluce, battente bandiera del Regno di Sardegna, vi fossero infatti aiuti finanziari provenienti da simpatizzanti russi, inglesi e francesi e diretti ai patrioti italiani che tramavano all’unificazione dell’Italia sotto un unico vessillo. Lo speronamento da parte del Mongibello sembra dunque essere stato un atto volontario dettato molto probabilmente da ragioni economiche e politiche. <<Non si trattò di un evento accidentale ma provocato dalla rivale società dei vapori napoletana, per motivi economici (eliminare la concorrenza) e forse anche politici (il Regno di Napoli non condivideva infatti il progetto di unificazione dell’Italia sotto la corona Sabauda)>> spiega Tagliatti.
La compagnia “Rubattino e De Luchi”, assistita dall’avvocato livornese Domenico Francesco Guerrazzi, avviò contro gli armatori del piroscafo Mongibello una vera e propria battaglia legale che avrebbe fatto giurisprudenza: Rubattino vinse la causa ma non fu mai risarcito.
Ma quali ricchezze trasportava il Polluce? Secondo quanto riportarono le cronache di “Le Semaphore de Marseille”, che si occupò del caso sin dal 23 Giugno 1841, all’interno del piroscafo erano contenute 170·000 monete d’oro e argento più numerosissimi gioielli e monili di altissimo valore nonché un numero imprecisato di pietre preziose: un tesoro stimato oggi quasi 350 milioni di euro.
Rubattino effettuò un primo tentativo di recupero pochi mesi dopo. Fu una impresa fallimentare ma molto ardita per i tempi. Nel 1936 la So.Ri.Ma (Società per i Ricuperi Marittimi) di Genova provò nuovamente a ripescare il relitto senza riuscire nemmeno stavolta nell’intento. Da allora del relitto si perse memoria e le vicende del Polluce trasfigurarono nel mito e nella leggenda.
Finchè nel 1990 il cacciatore di tesori francese Pascal Kainic non scovò la notizia del naufragio e cominciò a interessarsi al relitto; rintracciate le coordinate del relitto, nel 1998 vendette le informazioni di cui era in possesso ad alcuni avventurieri inglesi (Allan Crothall, Henri Delauze, David Dixon, Nigel Pickford padre, Kerr Sinclair, Jerry Sullivan) che, disposti a tutto pur di appropriarsi del tesoro sommerso, si attivarono subito per riportare alla luce quello che restava del Polluce e con grande spregiudicatezza elaborarono uno stratagemma tanto ingegnoso quanto scellerato per ottenere il permesso di operare nelle acque nazionali italiane: tramite il proprio consolato avanzarono al governo italiano una richiesta di recupero del carico di alluminio della nave inglese Glen Logan dispersa nel 1915 (1916 o 1917 secondo altre fonti) al largo di Stromboli in Sicilia falsificando però i dati e sostituendo le reali coordinate del Glen Logan con quelle del Polluce; nel Novembre del 1999 la richiesta fu recapitata al Consolato britannico di Firenze che la trasmise alle autorità italiane competenti (che, a quanto pare, tanto competenti non erano, se non propriamente colluse e conniventi...); nessuno degli enti preposti al controllo si peritò di verificare la bontà dei dati dichiarati e così, il 27 Gennaio del 2000, i predoni inglesi ottennero l’autorizzazione a procedere, agendo indisturbati nel mare dell’Elba con un intervento che non fu disinteressato salvataggio ma folle latrocinio, mera disonesta ruberia, poichè mosso non da scopi scientifici ma dettato da intenti di avida cupidigia e rapace bramosia.
Così riassume gli eventi l’Ansa: <<Nel gennaio del 200 David Dixon, proprietario della DMC Consulting di Ayshlam, ha noleggiato un rimorchiatore d’alto mare con una benna alla Tecnospamec di Genova, azienda che già conosceva. Con la copertura della Risdom Beazley, ditta off-shore chiusa quindici anni prima e riesumata per l’occasione con il finanziamento di sconosciuti imprenditori. *** Fu rilasciato un regolare permesso dalla Capitaneria per un recupero di lingotti d’alluminio nelle stive del mercantile Glenlogan, che si trova però nelle acque della Sicilia. Non esistevano divieti in quel tratto di mare. Benchè H. Deleuze dichiari più volte di aver denunciato la scoperta del relitto nel 1992 (ma la scansione che produce è del giugno 1995), non c’è nessuna ordinanza precedente al 27 maggio 2003, divieto richiesto dai Carabinieri.>> [Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto, L’oro dell’Elba, pag. 358].
Fu un vero e proprio vandalismo: la benna impiegata nelle operazioni squarciò lo scafo danneggiando irrimediabilmente lo scafo adagiato sul fondo marino. Portata a termine con successo e nell’indifferenza generale della capitaneria e del governo la propria azione criminale, i pirati inglesi rientrarono in territorio britannico. <<Il gruppo lascia l’Italia con il bottino, non salda il conto alla Tecnospamec come ha confermato il suo amministratore ed al rientro in Inghilterra dichiara un recupero marino effettuato fuori le acque territoriali su un fantomatico relitto: il Santa Lucia.>> [Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto, L’oro dell’Elba, pag. 358].
In seguito, grazie a una segnalazione anonima probabilmente da parte di uno dei sei membri dell’equipaggio italiano impiegato nelle attività di scandaglio e reperimento del tesoro del Polluce, il Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Firenze avviò una indagine e il 17 Giugno 2001 Scotland Yard restituì all’Italia il sedicente tesoro della nave Santa Lucia, come recitava il catalogo dell’asta che sarebbe stata inaugurata il giorno seguente dalla casa londinese Dix Noonan Webb, catalogo già pubblicato e dunque a disposizione degli acquirenti [https://www.difesaonline.it/news-forze-armate/storia/il-tesoro-del-polluce]. <<I gioielli erano così particolari che la casa d’aste deve servirsi degli esperti del British Museum per capirne la provenienza. In internet c’è ancora il catalogo con i prezzi. La stupenda croce con sedici smeraldi era in vendita per poche migliaia di sterline. Contestata l’entrata irregolare nel Regno Unito da parte della Met Police, il gruppo si difende dicendo che con il robot avevano visto quel relitto nelle vicinanze del Glenlogan e ne hanno approfittato. *** I preziosi vengono restituiti all’Italia a patto che loro non siano perseguiti. Così vanno liberi senza neppure la multa prevista per aver trasgredito alle leggi di Sua Maestà. Confermato dalla Met Police in un dispaccio di stampa. Kerr Sinclair di Corton, i due Pearson, padre e figlio, di Great Yarmouth, Jerry Sullivan di Martlesham Heat, Ipswich, sono irrintracciabili. Degli altri si ha solo una foto sbiadita. David Dixon ha cambiato residenza, ma non lavoro. E continua a spostarsi prevalentemente in Nigeria.>> [Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto, L’oro dell’Elba, pag. 358-359].
Tra il 2005 e il 2014, in fine, il Ministero della Cultura e le locali Sovrintendenze alle Belle Arti insieme con il Comando dei Carabinieri di Firenze e la Marina Militare di Livorno procedettero a un ultimo e definitivo recupero, economicamente sovvenzionato da fondi privati, che fece riemergere molte altre monete e gioielli per fortuna in perfetto stato di conservazione.
<<La mia opinione, condivisa da Cappelletti e Mirto [Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto, autori del romanzo d’inchiesta “Loro dell’Elba. Operazione Polluce.” edito da Magenes editoriale in Milano nel 2004], è che il valore archeologico del tesoro che rimane ancora da scoprire sia impossibile a definirsi. È certamente uno dei tesori marini più cospicui al mondo. Ai bracconieri inglesi sono stati sottratti poco più di duemila monete e qualche gioiello. Il resto non si sa dove sia e moltissimo giace certamente sul fondo del mare.>> dichiara Sauro Tagliatti.
La possibilità che oro, gioielli, smeraldi, zaffiri e diamanti siano ancora depositati nel fango è pertanto concreta. Il recupero potrebbe anche essere eseguito rapidamente e con costi contenuti, date le moderne tecnologie. Eppure, le nostre autorità non sembrano interessate al recupero di quanto rimane sepolto sott’acqua né alla storia di questa nave che appartiene al Risorgimento italiano, benchè la tecnologia abbia incrementato la capacità di lavorare a quote profonde.
È probabile che se il Polluce è già scomparso una volta dai registri navali nella metà dell’Ottocento, confuso con il fantomatico Pollux, nave di Ferdinando IV che avrebbe trasportato il suo tesoro e la sua carrozza d’oro, scompaia ancora una volta inseguito da qualche strana maledizione.
Manuel Omar Triscari