Se è affascinante la storia delle ferrovie minerarie elbane, altrettanto significativa è quella dei progetti di strade ferrate rimasti sulla carta. Infatti è il settore forse con più progetti arenatisi che realizzati. Alcuni di essi erano anche molto interessanti, ma impattarono sui costi economici e difficoltà di attuazione.
Il primo piano ferroviario ad ampio raggio è quello del 1868 degli ingegneri Axerio e Bellini. Il progetto prevedeva un tracciato di 15 chilometri, che doveva partire da Rio Albano, toccare Rio Marina, risalire la valle fino quasi a Rio Alto, scendere a Ortano, e, seguendo un percorso lungo la costa, toccare Terranera e giungere a Portolongone. Prevedeva l'uso di locomotive da 26 tonnellate, a due ruote accoppiate, capaci di trainare vagoni del carico di 120 chilogrammi netti. Il fatto che si escludesse la miniera di Calamita dal progetto ferroviario indica che essa non aveva ancora una produzione così significativa da richiedere l'uso di strade ferrate.
Erano allegati anche progetti per la costruzione del porto di Portolongone, in quello che sarebbe dovuto diventare quindi lo scalo marittimo industriale dell'isola. In questo caso era progettata la costruzione di un molo di 80 metri, che partisse dalla punta di San Giovanni, fino ad arrivare in un punto di mare della profondità di 7 metri. Ma non bastava: da esso sarebbe partito un altro ponte di 60 metri, per arrivare in un tratto della profondità di 10 metri. I ponti sarebbero stati dotati di tre piccole piattaforme di caricamento, servita ognuna di binario, capaci di caricare 1500 tonnellate quotidiane.
Il costo dell'opera era quantificato in 2.636.778 lire, così ripartito: 1.778.000 lire per il tratto ferroviario Portolongone-Vigneria, 450.000 lire per il tratto Vigneria-Rio Albano (da realizzarsi però in un secondo tempo), e 408.778 lire per il pontile d'imbarco. Axerio fece però un secondo preventivo più “leggero”, nell'eventualità che si volesse limitare l'escavazione complessiva annua a 200mila tonnellate, cui quindi sarebbe stato sufficiente un porto più piccolo e una ferrovia della larghezza di soli 1,20 metri: per un totale di 1.370.000 lire, di cui 1.240.000 lire per la ferrovia Portolongone-Vigneria e 130.000 lire per il pontile d'imbarco. In entrambi i preventivi si calcolavano i costi di trasporto e imbarco, ovvero: nel primo progetto 0,98 lire a tonnellata per le miniere riesi e 0,74 per Terranera; nel progetto “leggero” 1,52 lire per le miniere riesi e 1,04 per Terranera.
Nel 1872 il ministro delle finanze Quintino Sella sottopose il progetto a una commissione tecnica. Questa, pur ritenendolo tecnicamente fattibile, lo bocciò, soprattutto per ragioni economiche. Il costo preventivato era giudicato ben al di sotto del reale: la commissione stimava una spesa quasi doppia, 4.630.000 lire, di cui 3.290.000 lire per le strade ferrate e 1.340.000 lire per il porto di Portolongone. Inoltre si stimava che occorressero sei anni per estinguere la spesa. Anche per i costi di trasporto e imbarco i numeri di Axerio erano giudicati troppo bassi: per la commissione il costo attendibile era di 3,75 lire la tonnellata. Si calcolava che su 500mila tonnellate di minerale estratto all'anno, 400mila sarebbero state imbarcate da Portolongone. Furono avanzate anche ragioni di ordine tecnico: per esempio non si riteneva ottimistica la possibilità di estrarre le quantità dette di minerale.
Inoltre il golfo di Mola non era ritenuto adatto alla costruzione di un porto, a causa della risacca marina. E, aggiungo, fattore che dovrebbe far riflettere anche quei fenomeni dello “sviluppo” e dei progetti mirabolanti, che tutt'oggi propongono soluzioni portuali simili per Mola. Se la storia insegnasse qualcosa, varrebbe leggere valutazioni già fatte un secolo e mezzo fa.
La commissione governativa avanzò un progetto alternativo. Proponeva di lasciar perdere la ferrovia riese, e dotare le miniere di Rio Marina, Vigneria e Rio Albano di nuovi pontili di carico. Altresì proponeva la costruzione di una ferrovia tra Portolongone e Calamita e Terranera per un tracciato totale di 9 chilometri, con binari di 80 centimetri di larghezza e un raggio minimo delle curve di 80 metri. Il tratto tra Portolongone e la miniera di Calamita sarebbe stato un percorso costiero tra Mola, Naregno, Sassi Neri, etc. Si prevedeva l'impiego di due locomotive e 80 vagoni. Contestualmente, a Portolongone sarebbe stato costruito uno stabilimento siderurgico, dotato di banchine e calate della lunghezza di 150 metri, e attrezzate con gru per il carico di minerale e carbone. Il progetto prevedeva quindi di scindere la produzione isolana di minerale: quello estratto dalle miniere riesi sarebbe stato esportato; quello di Calamita e Terranera avrebbe avuto una lavorazione in loco. La spesa preventivata era di 1 milione e 200mila lire, da estinguersi in sei anni, così ripartite: 540mila lire per le strade ferrate, 500mila lire per i lavori a Portolongone e 160mila lire per locomotive e vagoni. Il costo del trasporto da Calamita a Portolongone, posto che venissero estratte 80mila tonnellate annue, era calcolato in 4,23 lire la tonnellata. Ma anche questo progetto rimase sulla carta.
Un altro piano ferroviario sulla falsariga di quello di Axerio e Bellini, ma con la variazione di Portoferraio come punto di arrivo e imbarco principale, fu presentato proprio dal comune di Portoferraio, e affidato all'ingegner Pachò. Si trattava di un tracciato di 9,4 chilometri, di cui 2,8 in galleria. Il costo fu valutato in 2.700.000 lire, ma anch'esso ritenuto economicamente non congruo, e del pari bocciato.
Il Corriere dell'Elba del 23 maggio 1897 poi annunciò che di lì a pochi anni, con l'apertura dello stabilimento siderurgico di Portoferraio, sarebbe stata realizzata la ferrovia che avrebbe connesso l'industria alle cave elbane, soprattutto quelle riesi. Ma anche questo, che era il programma dell'affittuario delle miniere Ugo Ubaldo Tonietti, rimase irrealizzato.
Nel 1917 l'ingegner Pietro Lanino presentò un disegno di ferrovia tra Rio Marina e Portoferraio, passante per Portolongone. La novità però stava nell'introduzione della trazione elettrica per i locomotori. Ma anche questo progetto fu bocciato, oltre che per le solite ragioni di spesa, proprio per la sua concezione moderna: l'uso dell'elettricità in una linea ferroviaria fu considerato troppo avveniristico. Nel 1921 fu la volta dell'ingegner Lemaire, che presentò il piano più ambizioso di tutti: una ferrovia non solo al servizio dei “bacini minerari, le industrie metallurgiche da essi alimentate”, ma una vera e propria rete ferroviaria per persone e ogni tipo di merce, che unisse tutti i centri dell'isola. Inutile dire che anche questo proposito, senza alcun dubbio suggestivo, rimase sulla carta.
Andrea Galassi