Per molti anni più che di pontili di caricamento – a cui forse dedicherò un capitolo a parte – per le singole miniere si parlò di un vero e proprio porto industriale, da realizzarsi a Rio Marina. Sono tutti progetti rimasti sulla carta per la mole di lavori e i costi.
La prima volta che se ne iniziò a parlare fu durante l'esilio napoleonico, nel dicembre 1814. Bonaparte incaricò il luogotenente colonnello del genio Giacomo Mellini di scandagliare il fondale intorno lo scoglietto antistante la torre, per verificare se le profondità fossero sufficienti per permettere l'attracco di grossi bastimenti e ci fossero le possibilità di realizzare un vero e proprio punto di imbarco. Ma di lì a poco tutto si arenò per la partenza di Napoleone.
Si dovette aspettare il 1854 per riprendere in mano un progetto di porto a Rio Marina. Si rendevano necessarie infatti diverse condizioni, per esempio strutture permanenti in cemento che reggessero le mareggiate e consentissero un imbarco del minerale sicuro e continuativo nel tempo. Cosa che fino a quel momento era pesantemente condizionata da una situazione meteomarina appena poco più che accettabile, in uno scalo esposto a tutti i venti del quadrante orientale.
Del progetto si incaricò l'ingegner Theodor Haupt, ma rimase sulla carta.
Nel 1861 è la volta del tentativo dell'ingegner Auguste Ponsard, direttore degli stabilimenti maremmani della Regìa cointeressata, società che gestiva anche le miniere elbane. Questi pensò di costruire due dighe: quella sud, che sarebbe partita in prossimità della torre del porto, inglobando lo scoglietto antistante (disegno che sarebbe stato ripreso anni dopo per creare il porto moderno, con il molo di attracco del traghetto); e quella nord, di 200 metri di lunghezza, con base sul promontorio di Vigneria. Esse dovevano convergere per creare un'imboccatura: in questo modo si sarebbe creato uno specchio d'acqua di 10 ettari riparato dalle mareggiate, in cui potessero gettare l'ancora i bastimenti in caso di mare grosso. La profondità massima dell'approdo sarebbe stata di 5 metri, consentendo dunque anche l'accesso ai bastimenti di medio tonnellaggio. Su entrambe le dighe sarebbero state impiantate delle ferrovie, che avrebbero permesso il trasporto del minerale dalle rispettive miniere. Alla testata delle dighe ci sarebbero state delle tramogge, che avrebbero consentito il caricamento sulle navi.
Il progetto però fu bocciato per perplessità sia tecniche che economiche, essendo stata preventivata una spesa di 1.375.444 lire, che né governo né Regìa avevano intenzione di spendere. L'obiezione tecnica era avanzata da chi era persuaso che in caso di mare grosso l'ampia apertura d'ingresso del porto creasse una forte risacca, non garantendo quindi una sufficiente protezione alle navi. Inoltre si rilevava che per garantire una profondità di 5 metri nello specchio acqueo, occorresse fare escavazioni non indifferenti sui fondali. Anche il molo sud richiedeva un'operazione notevole: gli ultimi 25 metri dovevano poggiare su un fondale inclinato e profondo tra i 20 e i 22 metri. Per queste ragioni si stimò la spesa preventivata inferiore al reale costo dell'opera. Il governo inoltre manifestò il disinteresse per la creazione di un altro porto sull'isola, oltretutto al solo servizio delle miniere, quando l'Elba era già servita da due ottimi approdi, come Portoferraio e Portolongone.
Si fecero però avanti i privati. Nel 1862 fece la sua proposta il banchiere Pate di Livorno: si accollava la realizzazione del porto in cambio della concessione per ben 60 anni delle miniere, nonché, come scrive l'ingegner Fabri, “la condizione che non si sarebbero fatte pagare ai compratori del minerale più di lire 0,60 la tonnellata per le spese d'imbarco, che si lasciano a carico loro”. Il proposito però si arenò, per la caduta del governo.
Nel 1863 ci provò il marsigliese Armand Coste, segno di un interesse dei francesi affinché i loro bastimenti potessero svolgere le operazioni di carico il più efficacemente possibile. Più che di un porto la sua proposta era incentrata su un solo grosso pontile, da cui si sarebbero diramati una serie di moli per l'attracco di grossi bastimenti. Il pontile doveva essere costruito parte in muratura e parte metallico, e assicurare l'attracco su entrambi i lati anche a due o tre grosse navi e alcuni navicelli. La spesa stimata era di 630mila lire. Altri due attracchi più piccoli dovevano sorgere a Vigneria e Rio Albano.
Per il primo la spesa era preventivata in 80mila lire, anche se Igino Cocchi indica la cifra di 150mila lire. Più complesso era l'approdo di Rio Albano. L'ingegnere marsigliese aveva progettato un piccolo porto protetto da una diga in scoglio lunga 200 metri, che partiva da capo Pero. Il porto doveva essere dotato di una ferrovia lunga mezzo chilometro. Il costo in questo caso era calcolato in 300mila lire. Ma Coste specificava di essere disposto a rinunciare a questi due scali, collegando le due miniere al porto di Rio Marina tramite una ferrovia di 5 chilometri. Mentre per Terranera Coste giudicava il pontile esistente sufficiente alla miniera, per la miniera di Calamita propose la costruzione di un attracco all'Innamorata, con un molo che avrebbe sfruttato l'appoggio sugli isolotti dei Gemini. Ma essendo quella cala troppo esposta al libeccio, insieme ad altri ingegneri, suggerì di spostarlo a Pareti, baia che riteneva più riparata. Questo scalo sarebbe stato collegato all'area estrattiva tramite una ferrovia in quota, fino all'imbocco della valle di Fosco, dove il minerale sarebbe stato caricato su un piano inclinato di 150 metri fino alla cala. La spesa era calcolata (molto probabilmente in forte difetto) in 200mila lire. I progetti di Coste avrebbero senza dubbio incrementato le esportazioni verso la Francia: infatti il progettista vincolava la costruzione a una tariffa agevolata sul costo del minerale. E forse furono proprio queste ragioni che portarono il ministero delle finanze a bocciare anche questi progetti, dato che il governo voleva avviare uno sfruttamento siderurgico nazionale del ferro elbano.
Nel 1865 è l'ingegnere elbano Vincenzo Mellini, figlio del già citato Giacomo, a proporre un nuovo progetto di porto per Rio Marina. Sembra che la sua intenzione fosse quella di scavare un golfo artificiale, non è ben chiaro esattamente dove. Le fonti spesso indicano il cantiere del Bacino, ma appare francamente poco plausibile, essendo questa zona troppo lontana dalla costa e a un'altitudine improponibile per un porto. Sappiamo che furono fatti anche sondaggi per conoscere la consistenza dei terreni e valutare la quantità di minerali presenti. Inoltre il porto sarebbe stato collegato alle miniere da una ferrovia, ma, data la vicinanza, con convogli a trazione animale. Ma anche questo progetto fu bocciato, molto probabilmente perché prevedeva sbancamenti troppo massicci.
Andrea Galassi