Nel 1867 Raffaello Foresi, scrivendo nella sua ‘Lettera al prof. Simonin’ di aver notato “certi massi elbani che giurerei essere ruderi di monumenti megalitici” (con ogni probabilità i cosiddetti Sassi Ritti), apriva precocemente la strada degli studi preistorici sul fenomeno del megalitismo all’Elba. Purtroppo, scrupoloso com’era, il grande paletnologo portoferraiese rinviò il problema a un’analisi più completa, che poi non fu fatta. Peccato: oggi avremmo a disposizione indicatori archeologici di primo piano che sono scomparsi in quanto nel corso di un secolo e mezzo quei ‘ruderi’ sono stati spostati dalla posizione originaria.
A ovest di S. Piero, alla quota di 327 metri sul livello del mare, c’è un sito chiamato Sassi Ritti, connotato da una serie di menhir aniconici (rocce naturali nelle quali le tracce di sbozzatura da parte dell’uomo sono minime), di altezze diverse ma comunque inferiori a due metri, che evocano mondi magici primordiali. In origine essi erano infissi nel terreno e si ergevano in verticale, poi furono abbattuti. Di recente ne sono stati rialzati quattro, ma altri potrebbero essere ancora completamente interrati. I nostri monoliti trovano confronti pertinenti con analoghe ‘sculture’ dell’area di Laconi in Sardegna, e in particolare con quelle scoperte a Perda Iddocca. La cronologia del complesso litico elbano, al pari di quello sardo, dovrebbe essere collocata nell’ambito del Neolitico medio-recente, 5.000 anni fa o poco più.
Tale datazione trova una conferma indiretta nel fatto che nella zona dei Sassi Ritti c’è una dispersione piuttosto marcata di schegge e lamette di ossidiana proveniente dalle cave del Monte Arci in Sardegna. Considerato che quest’ultimo dista appena una trentina di chilometri da Laconi e dal Sarcidano, non è da scartare la tesi che siano state proprio le comunità neolitiche della Sardegna centro-orientale a introdurre la cultura megalitica all’isola d’Elba.
Sui Sassi Ritti sono state avanzate ipotesi di destinazione cultuale. Silvestre Ferruzzi, ad esempio, al quale si deve la suggestiva immagine qui riprodotta, ha notato che il lato maggiore dei monoliti ha un preciso orientamento E-W. Se la posizione attuale dei ‘Sassi’ corrispondesse a quella originaria – cosa che al momento non possiamo provare – assumerebbe vigore l’ipotesi di un culto connesso con il Sole, peraltro di per sé divino in quanto ogni giorno, nascendo, “è capace di rinnovarsi e di rinnovare la vita di messi, di greggi, di uomini”. Un altro possibile riferimento magico-religioso, non necessariamente disgiunto da quello ‘solare’, potrebbe essere la Grande Madre - la dea della terra e della fertilità -, una sorta di arcana simbiosi fra Terra e Donna, entrambe in possesso della facoltà miracolosa di generare la vita.
Nell’ area di Piane del Canale, a quota 530 circa, sono evidenti, per quanto abbattuti e parzialmente interrati, altri tre massi granitici allungati (due hanno un profilo triangolare, il terzo è affusolato) spezzati in più parti, che hanno in comune una punta tendente all’ogiva e, poco sotto, un foro passante artificiale. Le loro dimensioni sono notevoli (in ordine decrescente metri 7,5 x 1, 6, metri 3 x 1,8, metri 4 x 1,5), tanto che, se rimessi in verticale, darebbero all’osservatore l’impressione di giganti di pietra muniti di un solo ‘occhio’, facendo correre la fantasia verso il mito di Polifemo. La loro maestosità tuttavia non meraviglia, perché anche in Sardegna sono stati trovati monoliti alti oltre 6 metri sbozzati in silhouettes più o meno slanciate. Classificati come menhir paleoantropomorfi, nel senso che hanno vaghe sembianze umane, essi sono riferibili al Neolitico recente/primo Eneolitico e sono antichi di 5.000 anni o poco meno.
Una campagna di scavo ampia e raffinata potrebbe restituirci molti indicatori archeologici e svelare parecchi dei segreti che avvolgono i due straordinari complessi preistorici. Non sarebbe un intervento né unico né eccezionale perché scavi del genere ne vengono effettuati a decine in Sardegna, in Corsica, in Puglia. Ma all’Elba no: nell’isola la conoscenza delle radici storiche e la valorizzazione dei beni archeologici continuano a essere relegate, ormai da decenni, nel limbo delle aspettative senza futuro.
Michelangelo Zecchini