Nella costruenda città di Cosimo (siamo nel 1548) il rifornimento di pane, il principale alimento di maestranze e soldatesca, fu uno dei primi problemi che si dovettero affrontare. Dopo una fase iniziale di approvvigionamento da Pisa di pane e biscotto (il pane cotto due volte che si conservava a lungo) Portoferraio si attrezzò con mulini per rifornire di farina i primi forni cittadini macinando il grano che la Depositeria inviava dalle maremme. Ai primi mulini detti “a secco” o “a uomini”, cioè mossi dalla forza umana, si aggiunsero mulini “a bestie”, fatti girare da asini o mule che però dovevano venire da Pisa perché sull'isola non se ne trovavano. Ai primi di giugno 1549 venne completato il primo mulino a vento, costruito da Antondomenico da Montemurlo. Questo mulino era posto fra il Forte Falcone e il Forte Stella, in un luogo esposto al vento. Ma la tecnica dell'epoca rendeva i meccanismi del mulino soggetti a facili rotture, per cui era spesso in riparazione e per questo da subito si sollecitò il granduca a ordinare la costruzione di altri mulini. A questo primo mulino a vento nel tempo ne seguirono altri sei: tre costruiti fra il 1592 e il 1616 accanto al primo e altri tre realizzati dal 1748 al 1752 sulla collina di San Rocco.
Cosimo I sollecitò l'architetto Camerini a costruire altri mulini e per questo gli inviò a fine ottobre 1554 il maestro dei mulini Andrea d'Anghiari. Il maestro si mise subito all'opera restaurando le macinelle a mano che erano state collocate nelle fortezze e costruendo mulini sempre “a secco” di cui uno con due macine. Il commissario Agnolo Guicciardini fu così soddisfatto del suo lavoro che gli fece costruire due mulini a acqua, uno all'Ottone e uno alle Trane, sul Rio degli Alberi (oggi Fosso dei Mulini). Ma questi mulini non soddisfacevano ancora i bisogni di una popolazione in crescita esponenziale. Così fu giocoforza utilizzare non solo i mulini granducali del continente - alle Caldane di Campiglia e dal 1561 a Torre Nuova - ma anche quelli isolani a Marciana e a Rio.
Nel 1557 il duca Cosimo fu costretto a lasciare agli Appiani lo Stato di Piombino, Elba compresa, e a tenersi solo Portoferraio. Da questo momento i mulini isolani diventarono mulini stranieri e il granduca non ritenne più opportuno continuare a utilizzarli: nelle istruzioni granducali ai vari commissari che si succedettero al governo di Portoferraio non mancò mai la prescrizione di evitare di mandare il grano fuori dalla giurisdizione granducale. Prescrizione sistematicamente inattesa, per forza di cose, dai provveditori del porto mediceo.
Nel 1570 arriva sull'isola, in sostituzione dell'architetto Camerini, Bernardo Buontalenti. Portoferraio ora conta 970 abitanti, ha bisogno di 3000 sacca di grano all'anno, pari a circa 1560 quintali, grano che i mulini cittadini non sono in grado di macinare. L'architetto si impegna anche personalmente nella ideazione e costruzione di nuovi mulini. Dà il suo parere positivo sulla realizzazione di un secondo mulino ad acqua sotto al Volterraio, distante dal mulino delle Trane «una archibusata incirca1». Se ne occupa il capomastro Francesco Dellauto, sotto l'occhio vigile del provveditore Piero Rossi. Il completamento del mulino sotto al Volterraio è urgente, tanto che si preferisce distogliere parte delle maestranze adibite alla costruzione delle fortificazioni per porre fine a questa impresa. Durante la costruzione il provveditore manifesta al granduca le sue perplessità: la spesa a cui si va incontro è a parer suo del tutto sproporzionata rispetto al probabile rendimento giacché l'estate nel Rio degli Alberi non c'è acqua.
Nel settembre 1583 i lavori al nuovo mulino sono a un buon punto: il mulino è costato fino ad allora 741 scudi, un vero salasso. Il capomastro Francesco Dellauto, dovendo ritornare a Firenze per problemi familiari, si reca personalmente dal granduca a spiegargli a voce «la qualità di esso [mulino] et la causa di tanta spesa»2. Nonostante che il mulino sia costato molti più scudi del previsto, appena ultimato manifesta già qualche problema e il provveditore sollecita il granduca a rimandare il prima possibile a Portoferraio il Dallauto perché «cerchi di rimediare a quel bottaccio del mulino nuovo che ha fatto che versa come un paniere»3. Il commissario Francesco Montaguto (della dinastia dei conti Barbolani di Montaguto, militare esperto di fortificazioni e di prospettiva, come ci dice Vasari il giovane4) aveva provato a dire la sua opinione sulla realizzazione di questo mulino, giudicandolo del tutto inutile, ma, ubi maior minor cessat, prevalse il parere del Buontalenti. Poco tempo dopo un mugnaio di Rio si offrì di costruire a sue spese in mezzo ai due mulini un terzo opificio idraulico, cosa che fu realizzata con una spesa di 100 scudi: ai primi di gennaio 1584 era già funzionante.
Oggi la Valle degli Alberi si chiama Valle dei Mulini, vi si può accedere dalle Trane attraverso una stradella che segue il fosso e risale in direzione del Volterraio. Attraverso l'analisi delle mappe del catasto leopoldino (anno 1840), nella valle si identificano quattro edifici che all'epoca del catasto erano indicati come mulini. Ma quali dei quattro mulini rappresentati erano i tre mulini granducali? L'opificio, che in un documento tardo cinquecentesco (un preventivo per la sua riparazione5) vien detto, per distinguerlo dagli altri due, «a piè del Volterraio», potrebbe essere quello proprio sotto la fortezza, identificato dal commissario Ottaviano Fregoso in una sua lettera al granduca come quello voluto dal Buontalenti, ma avversato dal commissario Francesco Montaguto perché ritenuto scarsamente produttivo. Fortunatamente questo mulino è il miglior conservato fra quelli della valle per il fatto di non essere stato trasformato in civile abitazione e di essere al riparo da occhi indiscreti perché immerso in una abbondante vegetazione. In questo mulino sono presenti tutti gli elementi costruttivi caratteristici di questo genere di opifici. Nel bosco con un po' di pazienza si possono trovare ancora tracce della gora che prendeva l'acqua poco più a monte da uno sbarramento del Rio degli Alberi. Seguendo quel che rimane della gora, si giunge a un bel bottaccio, cioè un bacino realizzato con alti muri in grado di costituire la riserva di acqua per il mulino, rifornendolo di un flusso costante. Si noti che le pareti di queste mura presentano ancora l'intonacatura necessaria a che l'acqua non filtri e si disperda. Un'apertura, ancora esistente all'interno del bottaccio, dalla forma a imbuto, permetteva la fuoriuscita con forza dell'acqua che faceva girare il ritrecine collocato nel sottostante edificio, all'interno di una volta detta carceraio, ancor oggi visibile e ben conservata. Il ritrecine era l'albero in ferro che da una parte terminava con i cucchiai contro cui si frangeva l'acqua, dando all'asse un movimento rotatorio, e dall'altra era collegato alla macina. Nel rudere si può ancora vedere un pezzo di macina. Le caratteristiche degli elementi sopravvissuti fanno pensare a un massiccio intervento di riammodernamento sette-ottocentesco. Il mulino a fine ottocento risulta comunque “diruto” e di proprietà della Comunità di Portoferraio che l'aveva acquistato nel 1885 dal demanio statale6. Questo confermerebbe la nostra ipotesi che si tratti di uno dei tre mulini fatti costruire dal granduca.
I mulini degli Alberi continuarono a macinare grano almeno per tutto il Settecento e restarono di proprietà granducale, seppur affittati all'Abbondanza portoferraiese.
Fabrizio Fiaschi
Il brano è liberamente tratto dal mio libro: Il pane di Cosmopoli. La gestione del grano e della panificazione a Portoferraio dal 1548 al 1776. Di prossima pubblicazione.
Ringrazio gli amici Giacomo Cardia e Errico Serra per avermi accompagnato nell'esplorazione del mulino del Buontalenti.
Frammento di macina
Nell'immagine di copertina - Il carceraio del mulino del Buontalenti
1. Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Mediceo del Pricipato (MdP) 754, c. 703r, 4 marzo 1581.
2. ASFi, MdP, 763, c. 121r, 12 settembre 1583.
3. ASFi, MdP, 765, c. 246r, 29 gennaio 1583.
4. Giorgio Vasari il giovane, Raccolto fatto dal Cav. Giorgio Vasari: di varii instrumenti per misurare con la vista, Firenze 1997, p. 162.
5. ASFi, MdP, 2561, c. 227r - 227v, 24 novembre 1592.
6. Archivio di Stato di Livorno, Supplemento al campione della Comunità di Portoferraio, 2317, c. 5107v.