Il pullman si fermava al Colle d'Orano, appena dopo il ponte dei Quattro Archi, la corrente (nel senso di energia elettrica) anche prima. La casa di mio nonno (Domenico Lupi detto Bampa), quando andavamo a trovarlo, dopo la "pòsa di sole" dietro la Corsica, era debolmente illuminata dalle fiamme del camino e dalle lampade a petrolio, che però non stavano accese a lungo, perché poco dopo la cena, consumata in piatti "copputi" (fondi per gli italiani) e scompagnati, si andava a dormire sul saccone, riempito con le foglie di granturco steso sulle assi di legno che coprivano il palmento.
Arrivare a Patresi dalla Portoferraio degli anni '50 era già prendere la macchina del tempo, per approdare in un mondo ancora popolato da asini, capre, minuscoli uomini che scalavano i gradoni terrazzati delle valli pieni di vigne verdi d'estate, poi marroni e infine improvvisamente spoglie, dopo l'arrivo dell'arrembapampane, il primo vento freddo d'autunno, un paesaggio nel quale non mancavano donne di ogni età curve a lavare panni sul bordo del fosso, un paesaggio raccontato anche dagli odori forti delle stalle, delle cantine dei fuligginosi "magazzini" che in realtà erano usuali dimore, perché nelle vere "case", a Marciana, i nuclei familiari risiedevano per pochi solenni giorni festivi.
E una volta nell'estate dei miei 7 anni mi capitò di essere trasportato oltre le "Colonne d'Ercole" di Colle d'Orano, di essere collocato in sella (anzi sul basto) ad una cavalla nera, insieme ad altre "merci" comprate a La Zanca e percorrere la mulattiera che conduceva a Chiessi e a Pomonte dove abitavano altri zii e cugini e dove avrei passato qualche giorno.
Trascorsi un tempo un po' spaesato - in fondo ero un bimbo ferajese "di città" - per l'ambiente "nuovo", per la prima assenza di mia madre e degli altri familiari, ma due ricordi chiessesi di quella scarsa settimana sono rimasti scolpiti dentro. Vedo ancora mio cugino Domenico (detto il Tòpo) scavare una buca in uno spiazzo tra le coti appena fuori di quello che era l'abitato, affondare il braccio nella melma e miracolosamente estrarne una guizzante anguilla, ma soprattutto vedo suo fratello Beppe (detto Debbio) remare e poi tirare a bordo dal mare pulito, trasparente, pesci colorati
"Ma tu si bono a notà?"
No, cioè sì e no, non proprio, avevo paura, per anni il medico me lo aveva proibito, ed ora che potevo sguazzare ero "in ritardo sul programma", i miei amici arrivavano fino alla seconda secca... io rimanevo vicinissimo alla battigia ...
"oh dico a te.. si bono a nota'?"
"dove si tocca sì..."
"ma a gallo ci sai sta'?"
"dove si tocca ..."
"se stai a gallo dove si tocca stai a gallo anco dove 'un si tocca!"
"non lo so..."
"si vede subito..." disse, e in un baleno acchiappò i miei 25 chili e li frullò in mare a un paio di metri dalla barca.
La paura durò solo qualche attimo, il tempo per capire che stavo "a gallo" e nuotavo pure, male ma trionfante, per i miei primi due metri, dove non si toccava. Debbio rideva mentre mi issava a bordo io ero fiero dell'impresa, felice. Poi mi asciugavo al sole, mentre la barca spinta da una voga tranquilla si muoveva forse per andare a salpare una nassa, e accostava ad uno scoglio stranissimo, enorme e verticale leggermente curvato verso la vicina costa: un'altra immagine che mi si imprimeva nella mente...
Sessantatre anni e spiccioli dopo mi sono ritrovato a scrivere che quel gigante di pietra, testimone della mia prima "nuotata", era stato spezzato come uno stecchino dalla furia delle onde e del ponente.
Se da una parte viene da riflettere sulla precarietà di chi sta su questo pianeta, anche se alto, saldo e apparentemente invincibile, dall'altra c'è da considerare la terrificante forza che esprime la natura specie quando si incazza.
Ed avere già vissuto così a lungo da aver visto la fine dello scoglio, mi dà l'autorità per sentenziare che il clima è davvero cambiato, perché da quando sono stato senziente, da quei giorni in cui ci nuotavo vicino ad oggi, incazzature della natura tanto violente e frequenti non ne ho mai viste.
E se questo è vero (come è vero) penso che l'ultima battaglia degna di essere combattuta per noi anziani, e la più importante per chi si affaccia alla vita sociale, sia senza dubbio quella contro l'ottusità criminale di chi, col suo decidere o il suo agire, determina il degrado ambientale, quella contro i mercanti di morte che (magari in nome di un supposto "progresso") rubano e vendono il più prezioso dei beni: il futuro stesso degli esseri umani.
Ma mi piace anche sognare un rinsavimento globale, un pentimento operoso, che fermi la folle corsa autodistruttiva.
Mi piace sognare che in un tempo non mio, dopo che il mare avrà macinato altri scogli, ci sia ancora un bambino a nuotare felice nelle acque trasparenti chiessesi