Pubblico queste righe con qualche giorno di ritardo, ci ho pensato un po', ma poi ho ritenuto sia giusto farlo.
Casa tua si riconosceva, aveva le chiavi fuori della porta. Io le giravo e venivo da te, per farmi consolare, per dimenticare il vuoto che sentivo a casa mia. Quando una bambina perde la sua mamma, se ne va in giro a cercarne altre. Segue le scie d'amore che le passano accanto, magari sbaglia, si confonde, torna indietro.
Io mi imbattei in te, donna forte e battagliera. Mi piacevano i tuoi foulard che ti accarezzavano i capelli corti e ondulati, mi piaceva pettinarti la sera sul divano, anche se poi mi spaventavo perché diventavi diversa e avevo paura di non riconoscerti più.
Mi tenevi per mano, tra le botteghe del paese, sceglievi i limoni migliori e i pesci più freschi, e io ero là, bambina capitata per caso dentro la tua vita. Ma tu non mi mollavi la mano Avevi gambe snelle, caviglie eleganti in un corpo da lavoratrice instancabile. Profumavi di frangette calde con lo zucchero a velo, di asciugamani con l'ammorbidente.
Se non fosse stato per te non avrei mai fatto merenda. Per farla non basta un panino con la nutella pronto sul tavolo, occorre qualcuno che ti chiami dalla finestra per salire a mangiarlo.
Eri la finestra del quinto piano, dove io in strada con la cartella sulle spalle mi giravo a salutarti . Eri il mio fiocco inamidato, il grembiule candido. Se sono rimasta bambina, dopo che la mia mamma non c'era più, lo devo a te. Mi hai letto tante fiabe, misurato la febbre, mi hai convinto a mandare giù cucchiai di sciroppi terribili, mi hai spalmato il petto di viks vaporub per farmi respirare, mi hai annodato il fazzoletto sulla testa, quando mi presi gli orecchioni.
“Vado su da Lola”, scappavo dall'aria pesante di casa mia e arrivavo in una casa vera, fatta non di stanze vuote, ma di persone. Passavo le ore seduta sulla cassapanca di legno insieme a “nonna Ida”, la tua mamma dai capelli rossi che non ci vedeva più, solo ombre scure di passaggio. Mi raccontava di lei e io di cosa avevo fatto a scuola, poi uscivamo per la “passeggiata”. Scendevano le scale a piedi, fino alla signora del primo piano, poi tornavamo su appoggiate al corrimano. Il palazzo era il suo mondo in braille, e anch'io provavo a scendere le scale con gli occhi chiusi.
Ciao Lola, diminutivo del tuo nome spagnolo Manoelita, che non ho mai capito perché. Donna orgogliosa e caparbia, che camminavi a testa alta, con il cuore in mano e il passo svelto perché avevi sempre qualcosa da fare.
Mi hai accompagnato in montagna, in chiesa per la cresima, in campagna, dal dottore. Mi hai tenuto al riparo dalle cattiverie della vita, mi hai apparecchiato la tavola insieme alle tue figlie, mi hai fatto giocare con i tuoi gatti, mi hai insegnato a lavorare a maglia, anche se non sono diventata brava a fare niente.
Ci sono sentieri incomprensibili che ci fanno incontrare persone indelebili. Negli ultimi tempi ho provato a dirti grazie per tutto quello che hai fatto per me, ma per queste cose le parole non sono abbastanza. Quella bambina, che tanti anni fa riuscisti a salvare, stasera sa solo piangere. Scendendo le scale di casa, dopo averti dato l'ultimo saluto, si è spenta la luce. Io ho continuato a scendere al buio, tanto la strada la conoscevo bene.
Elena