Per noi Alessandro, figlio di Macallè e Dorinda, nato appena fuori dalle mura del manicomio di Volterra e dato subito in adozione dopo il battesimo, era un’ombra dimenticata, per le mi’ zie Fernanda e Lorenza una specie di vergognoso rimpianto di un coraggio non avuto. Un bimbo non cercato perché dove era andato a stare stava sicuramente meglio di dove avrebbe potuto restare. Una fortuna che tacitava l’anima.
Per noi quel cugino mai visto esisteva solo in qualche raro rimpianto, in qualche chiacchiera di donna, nella speranza della su’ sorella Graziella, sballottata fra parenti continentali fino al suo arrivo a La Marina, nell’Elba sconosciuta del su’ babbo Oreste “Macallè” che la sua isola non l’avrebbe più rivista.
E, alla fine, l’ombra di Alessandro. finito da Volterra chissà dove, era scomparsa, restando il piccolo fantasma di un bimbo sparito nel destino sconosciuto di un adulto. Un filo di fumo di memoria, un ricordo subito perso.
Ma quel piccolo fantasma, quel nome dimenticato, è ricomparso oggi in una email speditami da un uomo: «Sono Alessandro, legalmente adottato nel lontano 78 da famiglia senese, ma biologicamente sono Bulleri Alessandro, uno dei figli di Macallè. Dopo 46 lunghi anni ho scoperto chi è il mio padre biologico in foto e tramite “Figurine Marinesi” ho scoperto di avere anche un fratello (o sorella) mai conosciuto/a. Vi prego aiutatemi a trovare contatto/i».
E Alessandro allega alla sua richiesta di aiuto l’unico documento delle sue origini, trovato per caso tra le carte dimenticate o nascoste delle sua famiglia adottiva: un certificato di battesimo della Parrocchia di San Pietro in San Lazzaro di Volterra che conferma - gli conferma e ci conferma - che è nato nel 1978 a Volterra e che è figlio di Oreste Bulleri e di Dorinda e nipote di Ferruccio Bulleri. Eccolo il passato sconosciuto scritto in un pezzo di carta prestampato da un vecchio ciclostile di una canonica, compilato a mano con la grafia quasi illeggibile di un prete che sarà già in paradiso, il prete dei matti di Volterra.
Alessandro sapeva già che il su’ babbo si chiamava Oreste Bulleri, ma di lui non c’era traccia, lo cercava in Toscana, in continente, tra Volterra e Siena, introvabile ovunque, anche su Internet. Uno spettro inafferrabile. Nessuna immagine, nemmeno una povera foto spiegazzata color seppia.
Ma ora, con quel certificato di battesimo, Alessandro aveva un altro nome, quello del suo sconosciuto nonno Ferruccio, che poi sarebbe Feruccio, l’uomo della mi’ nonna Natalina/Ilva, il palombaro in bicicletta della nostra infanzia. Mettendo insieme i nomi del babbo e del nonno su un motore di ricerca è venuto fuori il link a una cosa strana chiamata “Figurine Marinesi” e poi, all’improvviso, la foto in bianco e nero di un uomo con un sorriso sbieco che si riconosce senza denti, un uomo barbuto, un orso riccio, forse felice per un momento, mentre guarda un mare che Alessandro non vede, da una muretta che Alessandro non sa essere quella del Cotone, di un paese di mare che non conosce: Marciana Marina.
Tutto si collega, tutto si incastra e Oreste Bulleri torna Macallè, una storia, un uomo. Una vita tribolata. Una verità trovata, quasi uno specchio.
E Alessandro, che nella foto che mi ha mandato sembra proprio un cotonese, un Bulleri, il figlio indubitabile di Macallè, ha ritrovato la sua sorella mai conosciuta, si sono telefonati, hanno ricominciato ad attaccare pezzi di vite disperse, racconti, frammenti, un affetto fraterno che non hanno mai potuto avere. Hanno pianto di felicità.
Poi Alessandro mi ha chiamato, mi ha dato il permesso di scrivere queste poche righe su una storia miracolosa di un certificato di battesimo e un libro che non doveva essere pubblicato. Mi ha raccontato di una vita avventurosa, di cento lavori, della Legione Straniera… un terremoto, un ciclone.
Un cugino inaspettatamente spuntato da una svolta della vita, da un cassetto segreto, da un incrocio di nomi, grazie a un libro di figurine marinesi che ha fatto un miracolo anche se l’ha scritto un ateo. Un piccolo miracolo che da solo vale la pena di aver scritto dei ricordi messi in fila di un mondo che non c’è più.
Piccole storie minime di uomini e donne dimenticati che sono però il filo che tutti ci lega, tra la foto arruffata di Macallè scattata da Achille Puppo forse 60 anni fa e il selfie su WhatsApp di Alessandro, cotonese senza saperlo.
Umberto