Caro Sergio, caro Samuele,
scrivo a entrambi le poche, inutili parole con le quali non proverò nemmeno a immaginare il vostro dolore, di fratello e di figlio, entrambi due legami fortissimi. So cosa provai io per la perdita di mio padre, ma le cose accaddero meno repentinamente, e un po’ me lo aspettavo; sapevo che era giunto il momento in cui si attende e basta. In questi casi, credo, il silenzio sia la collocazione più opportuna alla quale approssimarsi, senza mancare di esprimere, come uno meglio può, il ricordo di un caro amico.
Lo farò scrivendovi di ciò che ricordo di lui, cose semplici, come semplice alla fine dovrebbe essere la vita, essenziale, senza retorica, chiasso e apparenze vuote di senso e di significato. Come dimenticare quella punta di freccia di pietra che ha portato al collo non so quanti anni! E come dimenticare quando, con l’impresa per la quale lavoravo, gli costruimmo la casa; ricordo perfettamente una parete interna in pietra gialla, un granito alterato che andammo insieme in cava a scegliere. C’è ancora quella parete? Mi pare fosse in soggiorno. A Lino piacque molto una volta finita. Disse: “Era come la volevo…”. Sono passati più trent’anni. Ricordo anche una fioriera – alzammo la voce in quel caso, ma il perché l’ho perso – che facemmo rivestire in rame dal Bigio Adolfo.
Anni dopo mio padre mi dette tutte le onorificenze di nonno Poldino, soldato semplice della Prima Armata che si fece tutta, tutta la Grande Guerra. Presi quei cimeli e li feci incorniciare con tanto di meritate medaglie, e ora sono qui, in casa mia e occupano una parete che gli ho dedicato. Fatto questo andai da Lino e gli raccontai questo particolare perché, gli dissi, volevo completare la parete mettendo accanto alle cornici un bel Carcano, il fucile che nonno aveva in dotazione e chissà quante volte gli aveva salvato la vita. Lino sorrise, ma non mi rispose subito, continuò a fare altro. Conoscendolo lo salutai. Tempo dopo tornai da lui, e rilanciai la richiesta di vendermi il moschetto. “Ce lo potrei anche avere” disse “ma bisogna vedere se lo voglio vendere, se ne riparla”. Tornai ancora da lui, uno o due anni dopo, ma era tornato sui suoi passi e non glielo chiesi mai più. Gli dissi che andava bene così, che capivo il suo non volersi allontanare da quel fucile.
Comprai un coltellino “Virginia”.
Durante le mie camminate da casa all’ufficio, passando davanti la bottega, il saluto non mancava mai: lo trovavo che agganciava un gommone in facciata, o metteva fuori l’espositore degli zaini, o era accucciato come un Apache davanti a un estintore.
Mi mancherà quel saluto, ma guarderò l’Armeria e sentirò comunque la sua presenza: come fai a dimenticare uno come Lino!?
Un abbraccio
Nicola
Caro Sergio,
rientro ora dopo alcuni giorni lavorativi fuori Elba e leggo della scomparsa di tuo fratello Lino, che come i più all'Elba anche io conoscevo e, per quanto dovessi interagire poco con lui, stimavo come persona per il suo modo di fare sempre cordiale e per la volontà di provare sempre a risolvere ogni problema. La sua scomparsa lascia certamente un buco profondo, anche per chi, come me, non è nato qui ma ci è venuto a vivere da molti anni.
Ti invio le mie più sentite condoglianze anche a nome di mia moglie Manuela e di tutta ElbaTech, a cui tra l'altro Lino curava da anni il reparto antincendio con meticolosa cura e grande professionalità.
Un abbraccio,
Marco
Sergio, ti esprimo tutta la mia affettuosa vicinanza.
Un abbraccio
Gisella
Caro Sergio,
un abbraccio a te ed a tutta la tua famiglia. Ti siamo vicini nel tuo grande dolore
Umberto, Marianne e Thomas
Sergio,
Elba Salute si unisce al Tuo dolore per la perdita del caro fratello Lino.
Condoglianze.
Francesco Semeraro