Un detenuto calabrese di 56 anni, carcerato per il reato di omicidio e condannato a 30 anni di recvlusione, è morto ieri sera per infarto causato da una embolia nel carcere elbano di Porto Azzurro.
Ne da notizia il Sappe, sindacato di Polizia Penitenziaria, che mette in risalto come lo scomparso avesse proficuamente seguito un percorso rieducativo.
«Il detenuto aveva un fine pena nel 2018 e fruiva regolarmente di permessi premio, avrebbe dovuto fruirne uno proprio il prossimo venerdì - ha infatti dichiarato il segretario del Sappe, Donato Capece - il recluso è deceduto dopo aver accusato alcuni malori e problemi di respirazione. Nonostante i tempestivi interventi del personale di Polizia Penitenziaria, di quello medico e paramedico non c'è stato purtroppo nulla da fare».
E l'episodio è, per l'organizzazione sindacale, occasione per una riflessione sul precario stato di salute in cui versa la popolazione carceraria nel nostro paese: "Le stime sulla salute dei detenuti italiani elaborate dalla Simspe, diffusi dal Sappe, vedono in testa alla classifica delle patologie più diffuse le malattie infettive (48%); i disturbi psichiatrici (27%); le tossicodipendenze (25%); le malattie osteoarticolari (17%); le malattie cardiovascolari (16%); i problemi metabolici (11%); le patologie dermatologiche (10%). Per quanto riguarda le infezioni a maggiore prevalenza, il bacillo della tubercolosi colpisce il 22% dei detenuti, l'Hiv il 4%, l'epatite B (dormiente) il 33%, l'epatite C il 33% e la sifilide il 2,3%"
"Da Porto Azzurrro una notizia triste - conclude Capece - che ricorda come i dati diffusi recentemente dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria ci dicono che il 60-80% dei detenuti è affetto da una patologia. Un detenuto su due soffre di una malattia infettiva, quasi uno su tre di un disturbo psichiatrico, circa il 25% è tossicodipendente. Solo 1 detenuto su 4 ha fatto il test per l'Hiv«.
Da un comunicato del SAPPE