Accade spesso che a causa della rottura di una tubazione dell'acquedotto i privati cittadini segnalino l'accaduto all'ente gestore del servizio idrico. Con altrettanta frequenza accade però che questo si rifiuti di intervenire.
A giustificazione del proprio operato (o meglio del proprio non-operato) l'ente adduce che la tubazione insisterebbe su terreno privato e non su un'area pubblica e che in forza di propri regolamenti interni, l'A.S.A. S.p.A. non sarebbe tenuta ad intervenire. A maggior ragione - stando a quanto affermato dall'Ente - nulla è dovuto al privato cittadino per gli eventuali danni subiti.
Così assistiamo, soprattutto sul territorio elbano, al diffondersi di un triste zampillare di acqua potabile con spreco di risorse naturali, di denaro pubblico e pericoli per la sicurezza della circolazione e dei beni.
Si deve dire che la posizione assunta dall'Ente gestore del servizio idrico è assolutamente priva di fondamento giuridico ed è impostata su elementi del tutto fuorvianti. Si deve in primo luogo osservare che nessuna rilevanza può avere la natura pubblica o privata del terreno ove insiste l'acquedotto. Infatti deve premettersi che "l'apprensione sine titulo di un terreno privato per acquedotto pubblico costituisce un illecito permanente" (Trib. Superiore delle Acque 22.10.1993 n. 104), con la conseguenza ovvia che l'autore dell'illecito, nella fattispecie l'ente pubblico, sarebbe tenuto ad eliminare tutte le conseguenze, compresi i danni subiti dai privati, derivanti da tale situazione di illiceità. Ma anche a non voler giungere a tanto, la fattispecie in esame non può non inquadrarsi che sotto l'istituto previsto dal Codice Civile della servitù di acquedotto, laddove il privato mantiene la proprietà del terreno che viene però gravato dal peso del passaggio dell'acquedotto. Sempre dalla disciplina generale dettata dal Codice Civile deriva che il proprietario dell'acquedotto, che resta in ogni caso l'ente pubblico, è tenuto a provvedere alla manutenzione del bene ed in difetto di questa deve rispondere dei danni causati. In tal senso è stato stabilito che "il consorzio di bonifica è responsabile dei danni derivati ad un fondo, avvenuti per l'interramento di una condotta idrica, dalla copiosa perdita d'acqua della detta condotta..." (Trib. Superiore Acque 7.10.1992 n. 66).
Tale contesto normativo non può essere in nessun caso derogato da norme regolamentari per ovvie ragioni collegate alla gerarchia delle fonti normative, per forza della quale la Legge, quale fonte superiore, non può essere derogata, modificata o elusa, da atti avente mera natura regolamentare. Peraltro tali regolamenti contrasterebbero non solo con il codice civile, ma anche con le leggi specificamente dettate in materia. L'art. 28 della L.36/94 (c.d. Legge Galli) faceva riferimento all'art. 93 del T.U. 177/33 attribuendo natura demaniale a tutte le acque sotterranee, comprese quelle ad uso domestico, finchè le stesse si trovino, appunto, nel sottosuolo (in pratica fin quando non giungono al contatore dell'utente). Tale quadro normativo è stato confermato dal d.lgs. 3.4.2006 n. 152 (Codice dell'Ambiente).
Fatte tali premesse non sussiste alcun dubbio circa l'obbligo di A.S.A. S.p.A. di intervenire immediatamente per la riparazione delle tubazioni danneggiate, nonchè di provvedere al risarcimento dei danni subiti ai privati.
In difetto di ciò l'Ente sarebbe inadempiente ai propri compiti istituzionali e si renderebbe responsabile a livello civilistico di un illecito fonte di obbligazioni risarcitorie.
Avv. Benedetto Lupi
Dott.ssa Giulia Vannucci