Definirla una "classe di teppe" era andarci ancora piano; sui quasi trenta alunni di quella Terza Sezione C (tutti maschi) appena cinque erano approdati all'ultimo anno delle medie senza subire una bocciatura, ed erano in diversi a ripetere l'anno della licenza dopo aver ripetuto sia la prima che la seconda.
Curiosamente diversi di quei "grandiglioni", marcati come irrecuperabili ciuchi, sarebbero stati destinati a compiere successivamente buoni studi e pure brillanti carriere, quasi tutti comunque a cavarsela più che egregiamente nella vita. Ma ho ancora delle orecchie le parole del Preside Francesco Lungonelli "Siete la peggiore terza che abbia mai visto!"
Dovevamo costituire una sorta di incubo per coloro che avevano l'ingrato compito di far lezione alla indisciplinata ciurma di adolescenti.
Fino ad allora quella classe era riuscita a tenerla veramente in pugno solo la Professoressa Maria Allori Mortula (più nota, come si usava all'epoca, con il nome da coniugata) una donna di acciaio, la cui severa energia traspariva perfino fisicamente, con lei in classe non volava una mosca, volavano in compenso, con le sue parole seccamente stentoree, parecchi 2, e perfino degli N.C. (pietosa forma per indicare il voto "zero") oltre che note disciplinari "vergate" al minimo sgarro e/o manifestazione riottosa
Ma ad anno iniziato, una mattina, giunse in quella specie di fossa dei leoni una signora dai modi gentile, sobriamente elegante e dall'aspetto fragile, presentata alla classe dal Preside che ci fece una "paternale preventiva": "La Professoressa sarà la vostra insegnante di lettere... mi aspetto..."
Forse volutamente Lungonelli aveva evitato di declinare l'inusuale cognome da nubile della signora: Trentanove, che poteva dare la stura a stupide battute.
Uscito il dirigente la Professoressa aprì un libro e iniziò, però senza leggerlo:
"E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento".
Un filo di voce ma in un silenzio assoluto, stavolta non di timore, ma di sorpresa e curiosità. Che razza di poesia era quella che nemmeno faceva rima? La professoressa riprese a enunciare ogni verso, a spiegarlo, a chiosarlo, a soffermarsi e chiederci di riflettere, e le residue risatelle finirono per spengersi anche "in ore stultorum", e fu una magnifica lezione intrecciata di letteratura, storia, democrazia ed educazione civica, "bevuta" anche dai peggiori "torzoli".
Al termine proprio verso di me puntò il suo guardo accompagnato da una domanda:
"Cosa stai pensando? Cosa ti ha fatto venire in mente questa poesia di Quasimodo?"
Ricordo che rimasi per qualche secondo zitto prima di decidere di pronunciare, vergognandomi, quella risposta, che sentivo banale e confusa al tempo medesimo:
"Che che... che le parole sono importanti..."
Non ci fu la risata di scherno che mi aspettavo dalla classe, ci fu il suo sorriso di approvazione e poi un: già... "le parole sono pietre..." ma di questo parleremo un'altra volta.
Suonò la campanella e finì la prima lezione della più importante delle mie insegnanti, quella da cui ho imparato ad amare le parole, che poi dovevano diventare la materia prima del mio mestiere artigianale.
Se n'è andata questa mattina a Firenze, da dove veniva, alla bella età di 93 anni la Professoressa Silvana Trentanove Ciardulli, che dopo di me e la mia classe, per quasi un quarantennio aveva continuato ad educare in leggerezza e serietà, attingendo da una raffinata, sterminata cultura, altre centinaia di elbani. Tornerà tra di noi giovedì per essere sepolta nel cimitero della Misericordia, ma saranno le sue spoglie a sparire, le sue parole, la "grande (vera) bellezza", restano nei pensieri di tanti di noi; spero di averne trasmessa qualcuna a chi passerò il testimone. Un abbraccio a Giovanni.