Tralasciando il caso come il mio, che non sono "nativo" ma che ci vivo da sempre, avendo frequentato all'Elba ogni grado di scuola, a partire da quella dell'infanzia, e che un domani potrei dover pagare il contributo di sbarco se mi trovassi a trasferire la residenza per ragioni di lavoro o familiari, vorrei far riflettere i nostri amministratori sui casi, non pochi, di elbani non "nativi" per cause non solo indipendenti dalla propria volontà (ovviamente non si può decidere dove nascere) ma da considerarsi di forza maggiore occorse a chi li ha messi al mondo. Penso ad esempio a mio figlio, che oggi ha nove anni e non ha il problema della tassa di sbarco poiché residente a Portoferraio, ma che un domani, qualora ci trasferissimo sul continente, potrebbe trovarsi discriminato rispetto ai c.d. "nativi" per il fatto che mia moglie, nove anni e mezzo fa, quando ancora non aveva raggiunto il quinto mese di gravidanza, fu trasferita d'urgenza a Genova ove è rimasta, allettata, fino al giorno del parto ed oltre. Non sono, ahimè, così rari i casi in cui i "nostri" bambini, benché elbani, non siano potuti nascere all'Elba a causa dell'inadeguatezza delle strutture sanitarie. E li vogliamo pure discriminare? Ricordo che ci fu un periodo in cui si discuteva di poter indicare, nei documenti, come luogo di nascita quello della prima residenza anziché quello effettivo che di norma coincide con la sede dell'ospedale ove è capitato di essere aiutati a venire al mondo. Questo luogo dice ben poco di noi, se non, talvolta, raccontare di gravidanze difficili e di una sanità insulare non troppo amica della natalità (mi riferisco ovviamente ai casi particolari e non coinvolgo in questo ragionamento il personale sanitario, che anzi tiene a galla questo barcone da scafisti).
Pertanto, in estrema sintesi, chiedo alle autorità preposte di assimilare ai nativi quanto meno coloro che hanno avuto come prima residenza un Comune dell'Isola d'Elba, a prescindere da dove, per incidente, siano nati.
Secondariamente, già che ci sono, chiedo che si rivedano altri criteri di esenzione, poiché, ad esempio, per i lavoratori pendolari non mi pare giusto assoggettare il beneficio alle modalità e alla frequenza con cui usufruiscono del traghettamento (si richiede l'abbonamento...), trattandosi di questioni tra privati (il passeggero ed il vettore) che non modificano la situazione oggettiva delle ragioni per cui si sbarca (per l'appunto: per lavoro).
Renato Corrado de Michieli Vitturi