Ravanatèra è un gruppo musicale che si presenta con questo nome originale, a primo acchito evocante esotiche pratiche yogiche, in realtà derivante dall’unione di due voci dialettali elbane: ravanare che significa scavare, rufolare, frugare e tera, il termine italiano terra privato di una erre, riduzione caratteristica del parlato isolano applicata ad ogni altro caso simile. L’azzeccatissimo neologismo (sintattico aggiungerebbero i tecnici) rende perfettamente l’intenzione del gruppo di recuperare e riproporre, attraverso la contaminazione con sonorità attuali, il patrimonio culturale che la gente elbana ha prodotto nel lavoro e nella vita quotidiana e che si è fatto canto: canto politico, filastrocca, serenata, stornello da osteria. I componenti del gruppo sono Daniela Sorìa (voce non nuova a questo tipo di operazione avendo già pubblicato un cd di canti popolari L’isola verde), Francesco Porro (voce e chitarra classica), Massimo Galli (chitarra elettrica), Susanna Di Scala (violino), Alessandro Balestrini (percussioni). Sergio Rossi si occupa di ricercare i testi e di elaborarli per renderli più accessibili all’attuale gusto letterario e musicale rispolverando una passione mai sopita. A lui e alla moglie Patrizia Piscitello, si deve infatti, l’avere in passato ricercato e rappresentato in varie forme alcune delle più vivaci tradizioni popolari insulari. Il repertorio dei Ravanatèra non comprende solamente la tradizione popolare del canto elbano ma aspira ad allargarsi all’arcipelago toscano e ad espandersi oltre, attingendo anche al repertorio della Corsica. Questo tipo di operazione che abbraccia culturalmente le isole vicine, concretizza perfettamente il concetto di comunanza tra le isole dell’alto Tirreno e invita a sottolineare alcuni aspetti che hanno intrecciato la storia di questi luoghi legandoli da tempo immemorabile ad un destino comune. Su questo destino ha da sempre, ovviamente, dominato il mare, il Tirreno, teatro sin dall’antichità di guerre e pirateria manifestatesi con modalità e intensità diverse nel corso della storia. Basti ricordare le scorrerie del temibile Dragut che nel corso del XVI secolo hanno investito le piccole e le grandi isole del Tirreno, Corsica compresa. Razzie e violenze che ebbero come risposta la costruzione di numerosi elementi architettonici difensivi come torri di guardia e fortezze costiere e che aguzzarono l’ingegno degli uomini di mare riguardo le tecniche di navigazione. Fiorenti rapporti commerciali (mai in realtà completamente inibiti dalla pirateria) furono favoriti sia dalla vicinanza geografica sia da una sorta di affinità etnica ancora oggi rilevabile, oltre che nel carattere degli abitanti - come ebbe già a notare Napoleone Bonaparte – nella somiglianza tra molti toponimi e inflessioni dialettali presenti nelle isole dell’arcipelago e in Corsica. Probabile eredità, forse medievale, di un’antica immigrazione di gente corsa nelle isole toscane, soprattutto nell’Elba. Teatro di feroci rivalità tra le due città marinare Pisa e Genova per il predominio del commercio nel Tirreno, le isole conservano traccia della comune dominazione pisana nelle numerose chiese romaniche. Singolare è il legame che lega l’arcipelago toscano con la Corsica e la Sardegna attraverso il culto di San Mamiliano. Dedicate a questo Santo esistevano in Corsica ben sette chiese accomunate dalla posizione geografica: erano distribuite esclusivamente nel settore nordorientale dell’isola, ovvero quello di fronte all’abbazia dell’isola di Montecristo. Le due chiese elbane dedicate a San Mamiliano furono edificate, invece, nel settore meridionale dell’isola (a Capoliveri e a Marina di Campo) così da permettere un simbolico e diretto rapporto visivo con la potente Abbazia di Montecristo dalla quale dipendevano. Nell’età moderna fu lo stesso Napoleone Bonaparte a legare con un fil rouge la sorte delle piccole e grandi isole dell’alto Tirreno. Nato in una grande isola, la Corsica, in gioventù, per esportare la rivoluzione insieme al gruppo dei Democratici, conquistò l’isoletta sarda di San Pietro ribattezzandola Isola della Libertà. Dopo la tragica sconfitta di Waterloo scelse come luogo d’esilio un’isola, l’Elba, che già amministrava dal 1802. Tracce tangibili del governo napoleonico si ritrovano nel suo tracciato urbano e in quello della vicina isola Pianosa. Nella seconda metà dell’800 le più belle isole dell’alto Tirreno furono adibite a colonie penali. Accomunate ancora una volta dal destino, la Sardegna con l’Asinara e le isole dell’arcipelago toscano con Gorgona, Capraia, Pianosa, Elba, Montecristo e persino la piccolissima Palmaiola, hanno ospitato carcerati di ogni genere, dai comuni ai “politici”, dai briganti lucani come Carmine Crocco, ai risorgimentali come Francesco Domenico Guerrazzi, agli antifascisti come Sandro Pertini, tessendo la trama di un’altra storia, ancora tutta da raccontare.
Gloria Peria