IN RICORDO DI ADUA
“La casa la trovai per puro caso, incontrando un giorno una vecchia compagna che allora l’abitava con la figlia e i nipoti come badante di una persona anziana da tempo ammalata che di a poco morì. A quel punto il proprietario ne rivendicò giustamente il possesso imponendole di liberarla al più presto. Fu così che entrai in scena io, anche se ciò mi costrinse ad acquistare un massiccio busto di Marx che Nonna Adua, come si faceva chiamare, aveva ereditato alla chiusura del ristorante che per anni aveva gestito a Rio Marina”:
“Marx? E che c’entra Marx”, chiese incuriosita Francesca.
“Beh, a dire il vero io non ero per nulla interessato e tanto meno entusiasta ad avere in casa un ‘ospite’ così ingombrante, una specie di monumento alto più di un metro e pesante non so quanti chili di bronzo fuso. Ma quelle erano le condizioni e ad esse, mio malgrado, dovetti sottostare. In quanto alla storia del busto fu la stessa Adua a raccontarmela. Le cose erano andate così. Fu nel periodo del ristorante, di cui era cuoca e comproprietaria con il marito, che conobbe due clienti tedeschi, lei pittrice e lui scultore, pare abbastanza famoso, disse, anche se a me il suo nome, Gottfried, risultava del tutto sconosciuto. Questo Gottfried, su richiesta dei coniugi ristoratori e al modico prezzo di un milione e duecentomila lire, oltre a duecentoquaranta pasti gratis ciascuno, realizzò questa ‘maestosa’ opera bronzea che per anni fu collocata all’ingresso del ristorante”.
“Addirittura? Sarà stata anche un’opera d’arte, ma io con quel busto lì all’ingresso non ci sarei mai entrata”, commentò ironicamente Francesca, “e poi cosa è successo, che fine ha fatto il busto?”.
“In un primo tempo Adua mi chiese di farlo acquistare dal Partito, anche se presto si rese conto che non era proprio il caso dopo che la svolta della Bolognina aveva fatto piazza pulita di tutto ciò che per anni era stata la rituale galleria di immagini affisse alle pareti o esposte in plastici bassorilievi su mensole o scrivanie delle sezioni comuniste. Le consigliai di provare con i compagni di Rifondazione, ma anche loro, così mi disse ancor più delusa e amareggiata, declinarono cortesemente l’offerta, affermando che di quel busto non sapevano cosa farne. Orfano di partito e comunque sempre in vendita come condizione preliminare per un’uscita senza ulteriori complicazioni e perdite di tempo, Marx tornò alla casella di partenza e per questo, come ti ho già detto, dovetti acquistarlo alla somma trattata e pattuita di trecentomila lire in contanti”.
“Si, bell’affare! Chissà che goduria un tale monumento in casa! Questo l’ho capito; quello che ancora non ho capito è dove l’hai messo, cosa ne hai fatto!”.
“Semplice, l’ho restituito gratis a chi me l’aveva venduto, perché a Nonna Adua interessava certamente il denaro, ma al suo Carlo Marx, sia pure invadente e austero, era affezionata. Solo il bisogno e la necessità di disporre di una somma sufficiente a trovare un altro alloggio l’avevano indotta a rinunciarvi. Ed è stato bene che sia tornato dov’era, perché forse solo con lei il buon Marx si sentita apprezzato e protetto in un mondo sempre meno incline alle ideologie e con una sinistra in evidente crisi d’identità”
Danilo Alessi (da “La Fatica della Politica”, Persephone Edizioni, 2015)