A volte il cuore batte in modo sbagliato; succede per un amore, per un dolore, o più semplicemente perché i suoi meccanismi s’inceppano e c’è bisogno di qualcuno che sappia rimetterli in moto. Così ieri pomeriggio mi sono concesso una giornata al Pronto Soccorso.
Al mio arrivo sembrava di essere in una scena già vista al TG1: nel piazzale, sedute sotto il telone di fortuna, una decina di persone in attesa; all’interno della sala d’aspetto, altrettante, mischiate a pazienti in attesa di essere curati o visitati. All’interno del P.S., i 4 posti letto erano occupati e una sfilza di carrozzine statiche sembravano un lungo serpente adagiato al lato del corridoio. Mi sono domandato se ci fosse stato un incidente piuttosto importante per esserci tutte quelle persone, invece, ognuna, era lì per un motivo diverso.
Chiedo a un’infermiera: «Ma cos’è successo? Perché tutti questi malati?». Lei con fare gentile sorride: «Se questi ti sembrano tanti, dovevi esserci lunedì». Mi sorride ancora e chiede a una signora se sente dolore e se ha bisogno di un calmante.
Ah, per non farsi mancare nulla arrivano anche 4 pazienti covid positivi.
Ma in quel buio totale, dove gli spazi sono pochi e ristretti, dove il dolore, i lamenti, a volte le grida, sono pane quotidiano, c’è una luce che illumina il buio: sono loro, i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari.
In quasi cinque ore di pronto soccorso, li ho visti correre, prodigarsi, spogliarsi e rivestirsi per accudire i covid positivi, accompagnare i malati e riprenderli dopo aver fatto esami specialistici, con i lineamenti nascosti dalla mascherina dalla quale traspare una stanchezza coperta da sorrisi sinceri, eppure sempre a disposizione, anche quando qualcuno, stanco di attendere, urla che sono ore che aspetta.
È vero, il tempo sembra dilatarsi quando si teme per la propria salute o per quella di un proprio caro, e in quel tempo statico, in uno spazio sconosciuto, ho riscontrato una professionalità e una gentilezza che sembra essere fuori luogo, considerato che l’empatia è un lusso che loro non dovrebbero permettersi. Perché essere empatici, accollarsi i dolori altrui come se fossero i propri, logora l’anima e forse la loro professione non richiede tanta bonarietà. Ma loro lo fanno, sono lì, pronti a sorridere anche quando la situazione sembra difficile, pronti a consolare un bambino con un taglio sulla fronte, una signora con dolori all’addome, un giovane con la spalla lussata e chissà quanti altri malati.
Certo, a volte può capitare l’errore, ma è umano, quello che è inumano è lavorare in condizioni tali da rischiare di non essere capiti o di non essere utili.
Per questo ritengo DOVEROSO, ringraziare tutti i medici, gli specialisti, gli infermieri e gli operatori sanitari che ieri hanno reso possibile il ritorno a casa, e che ogni giorno, come Angeli Custodi, sono pronti a intervenire per ripristinare quella sottile linea che lega il presente al futuro.
Alessandro Pugi