Venerdì 21 giugno. Vado in paese per semplici questioni domestiche. È tutto bloccato, da Portoferraio a Carpani. Già, c’è il mercatino…
Sabato 22 giugno. Vado in paese e poi alle Grotte per risolvere banali imprevisti tecnici. È tutto bloccato, da Portoferraio a San Giovanni. Eh, già, il sabato è giorno di arrivi e di partenze…
Domenica 23 giugno. Vado in paese per fare un po’ di spesa. È tutto bloccato, da Portoferraio a Carpani…
Non so come proseguirà l’estate ma ho piena consapevolezza di quello che succede da 10, 20, 30 anni.
Il mio Paese, un tempo così bello, non è soltanto morto, è stato proprio macellato nel più truce e sanguinoso dei modi. Si è deciso che doveva diventare una sorta di stanzino di sgombero dell’Elba tutta, lo spazio in cui collocare le funzioni logistiche di supporto a un’economia turistica selvaggia e priva di governo (ormai lo possiamo dire), una forma economica che, prima o poi, un Marx del III millennio si deciderà ad analizzare non soltanto dal punto di vista delle abbaglianti e colorate luci dei profitti generati (privati) ma anche nelle sue pieghe più oscure, quelle che nascondono il dilagante precariato nel lavoro e le diverse ricadute in termini di degrado ambientale e culturale (consumo di suolo, nullificazione degli spazi pubblici, assenza di ascensore sociale ed economico nelle comunità che si trovano nelle località turistiche).
Ho visto un Paese, il mio, il nostro, stremato dal punto di vista urbanistico, sotto il peso di una quantità enorme di servizi da prestare, soprattutto al resto dell’isola, in termini di trasporti, mobilità, sanità concentrazione e redistribuzione delle merci, smaltimento dei rifiuti.
Il Paese, il mio, mostra ormai la corda. Ha un porto troppo piccolo per potere sostenere il movimento estivo. Ha strade troppo strette e troppo vecchie perché possano transitarvi mezzi di proporzioni colossali. Ha parcheggi insufficienti. E allora, diranno i consueti sviluppisti in servizio permanente effettivo, facciamo tutto più grande: strade, porti, aeroporti, parcheggi, “bisogna fa’ veni’ più gente”. E poi dove la mettiamo? Che facciamo, allarghiamo e allunghiamo anche le spiagge?
Un disastro, mi sono detto osservando dal parcheggio della Coop il consueto, vistoso pennacchio di fumo nero emanato da uno dei nostri magnifici traghetti… È stata quell’immagine a farmi pensare che, oltre al degrado e alla consunzione dell’abitato, ci sono la salute e la sicurezza della comunità, intesa come collettività, che da un paesaggio sano dovrebbe ricevere benessere e prosperità (per tutti). E allora il degrado urbano è solo una delle facce di un poliedro, fatto di molti lati, ciascuno dei quali può raccontare una storia.
Ho come la sensazione che le cose non stiano andando nel verso giusto. Ma qui si fermano le mie suggestioni di cittadino. Soluzioni non ne ho e non posso né debbo averne, non essendo io né un urbanista né un sociologo né un medico. Ma il problema dello stato di benessere della comunità qualcuno dovrà pure affrontarlo.
Franco Cambi