Sono nuovo all’Elba. Per due anni ho cercato una casina a Marciana, di cui mi sono innamorato la prima volta che l’ho vista. Ci sono luoghi dove capiti per caso e capisci che ti appartengono. E tu a loro. Hanno qualcosa di te che cercavi e che vi ritrovi, quando nemmeno sapevi di averlo perso. Sono stato a lungo in trattativa per un piccolo immobile che poi non è andato in porto. Ne ho visti molti e molti con aspetti che finivano per scoraggiarmi all’acquisto. Alla fine, ho comprato una casina da “scrittore”. E’ piccolissima e l’angusta finestra che dà luce alla camera si affaccia sul mare. Lì ho inserito una minuscola scrivania che è diventata il mio pensatoio. Lì scrivo. I miei pensieri, i miei racconti, le mie storie. Lì, su quella sedia, per me è Marciana.
Comincio a passarci lunghi periodi e scopro che non tutto mi piace. Per esempio, il tentativo comprensibile dei locali di attirare persone da altri luoghi la sera ha reso questo luogo meno attraente per chi voleva trascorrerci l’estate in pace, con un netto disavanzo a scapito di questi ultimi, che si sono visti sottrarre a suon di decibel quote di relax dentro al loro borgo da sogno.
Normalmente, in città, queste questioni sembrano risolversi col buon senso coadiuvato da qualche bravo giudice di pace: finire un po’ prima la sera, togliere qualche decibel alle casse, disincentivare la sosta con transenne in quelle aree dove chi ha alzato il gomito altrimenti si tratterrebbe in compagnia fino all’alba. Una delle mie prime chiacchierate con gli autoctoni è quella con una signora il cui appartamento si affaccia su una deliziosa piazzetta occupata dai tavoli di un ristorante dove vado a mangiare. E le nostre chiacchiere finiscono proprio su questo. Diversi operai si affaccendano a sostituire porte e finestre della loro casetta. “Qui la sera è baldoria” mi dice. Lei e il marito, in pensione, vengono dalla costa. Sono di qua e passano tutta l’estate nella loro vecchia casa di famiglia, mentre il resto dell’anno sono in continente con le famiglie che hanno generato negli ultimi decenni, figli e nipoti, e dove hanno ormai trascorso la maggior parte della loro vita. “Un tempo si veniva qua per riposarsi. Adesso i locali non si contano e Marciana prova a far concorrenza alla vicina Marciana Marina. Gira tutto intorno al soldo.
Una signora straniera che ha la casa proprio lì” e mi indica l’appartamento “ormai non viene più. Credo che chi viene a Marciana oggi lo faccia perché i bimbi possono scorrazzare liberi senza auto e perché ancora il paese resiste rispetto all’invasione estiva. Ma bar e ristoranti ne hanno completamente cambiato il volto e se continuiamo così credo che aumenteranno i commensali d’occasione e diminuiranno i villeggianti”.
Io ci sono da poco ed effettivamente è impossibile non fare i conti con quanto mi racconta la signora. La mia casa si trova in un altro punto del paese, vicino nel mio caso ad un punto che accende la vita notturna con musica e bevute. Le casse sono enormi e quando c’è serata non c’è punto in casa che ti salvi. Anche io mi sono organizzato per i doppi vetri che arriveranno presto. Gli spessi muri aiutano, solo che le percussioni non fanno prigionieri. Nemmeno il calo del turismo di questa estate, che sembra già dare ragione alle teorie della signora, non pare dare adito a ripensamenti da parte dei gestori. Sono uno che ama combattere per gli equilibri. Mi piacerebbe vedere che tutti rinunciassero ad un pezzetto dei propri interessi per quelli dell’altro, il che in genere poi porta grandi benefici per tutti. Ma sono anche sufficientemente intelligente da non abbracciare battaglie che non sono le mie, dagli esiti dubbi e su territori che non conosco. Quel che non posso o non voglio cambiare tendo non a tollerarlo, piuttosto a sposarlo. Quando i decibel sono di una cassa paragonabile a quelle che usa San Siro ai concerti milanesi, tutto quello che posso fare è andare in quel locale anche io e festeggiare e ballare fino alla chiusura. Quando sarò così decrepito da non poterlo più, farò causa, mi dico. Ciò che non puoi combattere, puoi solo goderlo. Anche se poi torno a casa con un velo di malinconia stampato sulla mia stanchezza per l’ingiustizia che ho contribuito, ballando, a perpetrare.
L’Elba è, per chi viene da fuori, un luogo da sogno. Quando ci entri dentro, però, è anche il luogo delle contraddizioni. Quella di incentivare una movida esagerata rispetto ad un borgo scelto dai più per riposarsi (quindi anche a mio avviso il modo migliore per spopolarlo) non è l’unica in cui mi sono imbattuto fino ad ora. Venendo da una grande città, ho fatto la scelta di non avere l’auto. Non mi serve e trovo che ce ne siano troppe. Quindi mi muovo con i mezzi. D’estate, l’Elba offre molte possibilità per spostarsi. Marciana ha anche un servizio navette che svela i segreti marini e marittimi della zona a chi non può muoversi autonomamente. Qui, come altrove, mi sono organizzato con i mezzi pubblici che non mi deludono. Conosco ogni orario e coincidenza a memoria. Sono cari ma puntuali. Li pago volentieri. E’ un bel servizio, che potrebbe essere pubblicizzato ed incentivato ulteriormente perché i bus sono spesso vuoti. Per me è ideale.
Dopo aver ammobiliato casa sono pieno di cartoni. Chiedo ad ESA, l’Ente per lo smaltimento dei rifiuti all’Elba, di poter avere un servizio a domicilio per il ritiro o di concordare un punto ed un orario per strada con chi ritira già tre volte la settimana la carta dai bidoni con tessera. Mi rispondono che non è possibile. L’estate il servizio è sospeso. Bisogna andare all’isola ecologica, San Rocco, oppure spezzettare i cartoni così da metterli dentro ai bidoni.
Per me entrambe le soluzioni sono impraticabili, sia per la natura degli imballaggi, sia per le loro quantità e dimensione. Scrivo quindi una pec, un po’ ironica, dove dico che mi sento discriminato per non avere un’auto e che credo che questo servizio vada promosso per coloro che scelgono di venire all’Elba portandole sufficiente rispetto da non ingombrarla con un’altra marmitta. Sbadatamente capita che io metta in copia il Sindaco di Marciana e l’Assessorato all’Ambiente. Mi chiamano i vigili, cercando di capire il problema. Si dicono solidali. Mi aiutano. ESA cambia idea ma colgo nella voce dell’operatrice incaricata di “gestirmi” una vena sarcastica e piccata. Questo è un servizio esclusivo che facciamo per Lei. Anche qui, mi dico, non sarebbe bello invece chiedersi come estenderlo a chi decide di venire qua senza
macchina? Perché non promuovere tutta la mobilità non privata di cui ESA fa parte nella misura in cui ti toglie l’isolano dall’impiccio di dover aver mezzi propri per smaltire la spazzatura che legittimamente produce?
La mia isola dei sogni, il mio paese da sogno, sta registrando dunque qualche rallentamento.
Che però non finirà per scoraggiarmi dal godermene ogni angolo. In particolare, quello di camera mia, con la sua vista mozzafiato.
Fabio Noferini