Non è facile entrare in un carcere ed andare a parlare di alcol e problemi connessi. Ti trovi di fronte persone per lo più stanche e che devono affrontare ogni giorno, forse ogni ora, una dura battaglia con se stessi e gli altri intorno solo per riuscire ad arrivare a sera senza troppi intoppi. La vita del carcere sembra segnata dalle regole, a volte assurde, e dalle ‘domandine’ che restano spesso senza risposta, come in qualsiasi istituzione totale. E come in ogni istituzione totale ad un certo punto non si riesce più a distinguere chi sta da una parte della barricata e chi dall’altra. Gli ambienti di vita a Forte S Giacomo sono vecchi e disadorni con muri scrostati e luci al neon anche di giorno, arredi arrangiati e vetusti, presenze animali scomode a quattro zampe, odori non proprio allettanti, cibo per lo più al massimo passabile e compagni di viaggio (non ‘colleghi’ ci tengono a precisare) spesse volte difficili. Ti può capitare di sentirti dire a muso duro che il cibo lì dentro a volte è immangiabile, che sanno benissimo che la mortalità dentro è molto più alta del normale ma che devono portare il peso della loro colpa. A volte leggi nei loro occhi espressioni di un dolore profondo, di chi è stato segnato dalla sofferenza a vita. Altre volte, quando ti lasci andare senza accorgetene a voli pindarici, sei richiamato alla realtà con frasi brevi ed acute. Oppure ti devi confrontare con la cultura dell’antistato che ha buon gioco nell’indicare come suo nemico proprio quello Stato che vorresti fosse equo e giusto anche nel comminare le pene. Qui Cesare Beccaria sembra non essere mai entrato. E allora ti tocca tentare di riportare il discorso, che rischia di impantanarsi nelle sabbie mobili dell’antipolitica di moda, nel concreto sforzo di ritrovare una strada umana per uscire dalla sofferenza comune anche a chi sta fuori. Evitare le false scelte dicotomiche ( o la morte o l’illegalità) può essere una strada consigliabile ma occorre saperla porre senza supponenza, consapevoli che sono le opportunità che fanno le vite delle persone e che le opportunità non sono distribuite equamente. E allora il discorso dall’alcol si allarga e diventa occasione per discutere sulle scelte etiche che siamo chiamati a fare ogni giorno a volte inconsapevolmente. Ciò a sua volta diventa un modo per parlare della corretta informazione che è difficile da trovare in un mondo dominato dall’interesse privato. Se si confronta quanto viene speso per esempio in Italia per indurre a bere( centinaia di miliardi di pubblicità palese ed occulta) e quanto per prevenire i danni del bere ( pochi milioni) ci si rende subito conto della sproporzione e quindi della disinformazione.
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