Accade spesso, incontrando conoscenti o vecchi amici, aventi un qualche interesse all’Elba, di dover ascoltare pareri sui numerosi importanti problemi della nostra Terra. Per la maggior parte questi esprimono con rammarico giudizi critici. Purtroppo con dispiacere, non si può che prendere atto delle giuste constatazioni. Infatti pur cercando di fare appello all’amor proprio e minimizzando è difficile nascondersi dietro un dito. I fatti sono fatti e sono sotto gli occhi di tutti. Di sicuro è così per l’elbano medio che legge, che si informa e si interessa delle cose. Argomenti quali la Sanità, i Trasporti marittimi ed aerei, l’Ambiente, il rifornimento Idrico, che vede ancora l’isola quasi totalmente legata alla resistenza di un quarantennale tubo sottomarino, la Gestione Associata del Turismo e quant’altro può essere di interesse generale per il futuro e lo sviluppo dell’Isola, rimangono invece impantanati nelle sabbie mobili. Dovrebbero, come sarebbe giusto, trovare invece i nostri Amministratori concordi verso politiche unitarie. Non è così, in particolare per la Sanità, ancorata a una politica dimentica dei nostri sacrosanti diritti e della insulare specificità. E’ difficile per il cittadino medio capire atteggiamenti divergenti e le relative cause, che potrebbero essere tante, ma tutte discutibili a fronte di interessi globali. La sensazione forte è che prevalgano interessi di bottega, che ogni Comune viva irresponsabilmente per se stesso, come fosse un corpo a se, svincolato dal resto del Territorio. Come se non si rendesse ancora conto che l’unione può fare la forza, che sarebbero necessarie azioni comuni e incisive. Che occorrerebbe il coraggio di tentare di superare quegli ostacoli fino ad oggi ritenuti insormontabili, senza averne mai fatto neppure un tentativo.
O, noi elbani, come tante persone, cui dobbiamo essere riconoscenti per il loro critico sostegno, dobbiamo accettare l’idea che sarebbe giusto e auspicabile avere una classe dirigente diversa e migliore?. All’Elba sembrerebbe regnassero complessi di inferiorità, dovuti alla classica dominanza continentale, ormai assurti a cultura e tradizione, come la “Sindrome di Stoccolma”. Sarebbe sufficiente rifletterci un po’ per constatare quante le occasioni perdute negli ultimi decenni. Sarebbe sufficiente rendersi conto che appropriarci di quella dignità politica, amministrativa e sociale, finita chissà dove, non è che il dovere da compiere verso noi stessi. Un colpo di coda, una sterzata atta a far capire, al di là del mare, che ci siamo e che siamo vivi. Non credo sia tardi per cambiare un modo di pensare e di essere.
Sergio Bicecci