Gentili lettori, gentili cittadini, gentili Amministratori,
chi vi scrive è un cittadino che si avvale dell’anonimato per motivi puramente professionali, certo che in questo caso specifico non importa tanto chi dica le cose, ma quali siano le cose da dire.
Circa un anno fa mio figlio ha iniziato ad avere delle difficoltà scolastiche legate essenzialmente alla lettura; su consiglio del pediatra il bambino venne sottoposto a visita specialistica presso l’oculista che gli diagnosticò un leggero astigmatismo e ci consigliò di fagli portare degli occhiali. Gli occhiali costarono circa 130 euro. A distanza di sei mesi la situazione non cambiò affatto, pertanto, su consiglio del pediatra e degli insegnati il bambino fu sottoposto a valutazione cognitiva dalla quale emerse che il bambino aveva delle difficoltà nella transcodifica di alcuni gruppi sillabici, digrammi e trigrammi che gli precludevano una lettura funzionale all’apprendimento: questo non significava che mio figlio non capiva quello che leggeva, significava che per arrivare a capire il senso di una frase impiegava tanto tempo (circa 10 volte quello dei compagni in alcuni casi) e tante energie. Questa difficoltà non era etichettabile come DSA (disturbo specifico dell’apprendimento) e non era un disturbo visivo: era una difficoltà che con l’”esercizio mirato” avrebbe potuto superare in un lasso di tempo definito. L’”esercizio mirato” consisteva in un percorso di sostegno all’apprendimento della lettura che io non sono stato assolutamente in grado di svolgere per mancanza di competenze professionali, pertanto mi rivolsi ad uno specialista che si occupò di seguire mio figlio in questo percorso, un percorso con esito positivo, durato 7 mesi, al costo di 280 euro al mese, per un totale di 1960 euro.
Orbene, la mia esperienza è simile a quella di tanti altri genitori che si trovano loro malgrado a dover “tirare la corda” per il bene dei propri figli, sottraendo quasi 300 euro al mese da uno stipendio base di 1280 euro. Questa testimonianza lascia il tempo che trova a fronte delle tante disgrazie che si sentono in giro, dei tanti bambini che non ricevono cure poiché figli di genitori completamente indigenti (o disgraziati); questo racconto non avrebbe senso di esser stato trascritto se non fosse che i miei occhi si sono casualmente imbattuti come spesso accade su Facebook, su un post scritto da un’associazione animalista elbana che dichiarava di aver “attivato la richiesta al Comune di Portoferraio tramite PEC per prevedere un impegno di spesa in grado di coprire le spese dell’operazione” fatta ad un gatto.
Avete letto bene: un gatto.
Ho pensato a mio figlio, ai sacrifici fatti in quei mesi, alla preoccupazione di non sapere di mese in mese se saremmo riusciti a continuare ad aiutarlo; ho pensato a quei bambini che non impareranno mai a leggere in maniera funzionale, che avranno un domani serie difficoltà a proseguire gli studi e saranno pertanto destinati a lavori più pratici. Ma non ho pensato solo a loro; ho pensato a quei pensionati elbani che vivono in stato di reale povertà, a coloro che non possono permettersi visite specialistiche, alle tante persone che non riescono umanamente a tirare su la testa gravate da situazioni economicamente difficili.
E poi ho ripensato al gatto, ed ho realizzato che se il mio Comune, quello in cui io pago le tasse come onesto e rispettoso cittadino, si impegna per rimborsare le spese veterinarie di un gatto, abbiamo perso tutti.
Sono parole forti lo so, ma sono dettate da un naturale senso di umanità che ho nei confronti dei miei simili e dei più deboli.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Lettera Firmata
P.S. A coloro che replicheranno che il gatto è randagio pertanto di responsabilità comunale faccio un sentito invito a leggere l’articolo 32 della costituzione che recita “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto all’individuo e interesse della collettività. E garantisce cure agli indigenti”. Touchè.