Il carcere di Porto Azzurro e l’azienda Dampaì hanno dato vita a un progetto innovativo: produrre borse fatte mano nel laboratorio artigianale nato all’interno della casa di reclusione.
Può il design oggi unire le persone e mettere in circolo la dignità del lavoro? La risposta è certamente sì. Ed è questo l’obiettivo che due persone appartenenti a mondi apparentemente distanti si sono prefissate di raggiungere, collaborando. Simona Giovannetti, anima creativa di Dampaì, e il direttore del carcere di Porto Azzurro Francesco D’Anselmo, suo convinto alleato, hanno dato vita ad un progetto che travalica l’interesse commerciale e si fa impresa sociale, perché mette al centro le relazioni tra persone, che insieme realizzano oggetti dalle linee fortemente caratterizzate.
Il noto brand di design e moda nato all’isola d'Elba nel 2011 da sempre inserisce temi d’attualità e azioni fuori dagli schemi produttivi classici nelle sue creazioni, facendo spesso parlare di sé. Dall’anno scorso Dampaì ha trasferito il suo magazzino all'interno della Casa di reclusione 'Pasquale De Santis'. Da questa esperienza è maturata l’idea di aprire un vero e proprio laboratorio di produzione artigianale. Due detenuti sono stati scelti sia per gestire il magazzino che per realizzare i nuovi accessori moda. Dampaì ha effettuato una formazione professionale specifica alle persone scelte, che sono state poi assunte e stipendiate dall’azienda di moda e design. Il percorso si è sviluppato velocemente, con particolare attenzione agli aspetti gestionali e umani innescati dal processo produttivo che deve confrontarsi con le regole di un carcere. Il primo prezioso frutto di questo delicato lavoro di squadra è stato la messa in commercio, presso i Dampaì Stores dell’isola d’Elba e presso alcuni rivenditori Dampaì in Italia, dei primi tre modelli di borse interamente confezionate all’interno del carcere: la Two e la Three, due borse a mano/tracolla in gomma espansa, e la borsa in rete Lilly che è trasformabile in zaino.
Ma c’è di più. Dal dicembre scorso Dampaì sta lavorando, sempre all’interno del laboratorio del carcere, ad una borsa in pelle completamene realizzata a mano, con grandi cuciture anch'esse in pelle ed in diversi colori. Il cliente potrà scegliere, con l'aiuto di simulazioni computerizzate, tra più soluzioni, personalizzando materiali e finiture. Una volta scelte la propria combinazione, il cliente, attraverso Dampaì, ordinerà la propria borsa ed un detenuto la produrrà appositamente per lui. Ci vorranno cinque giorni per realizzare la borsa, sette giorni per recapitarla all’acquirente. Questa filiera di produzione ha più finalità. Permetterà di realizzare borse dalla foggia unica perché personalizzata, permetterà soprattutto un vero e proprio scambio tra cliente e detenuto. Obiettivo dichiarato: ridurre il profondo sentimento di isolamento del detenuto attraverso una sorta di abbattimento di barriere psicologiche tra il dentro e il fuori.
Alleghiamo un testo di Simona Giovannetti, che mette in luce il vissuto personale da cui è nato questa nuova impresa. Forse non cambierà il mondo, ma attraverso il lavoro prova a integrare nella società chi vive quotidianamente tante difficoltà, migliorandone la condizione.
Zhang sta scontando la sua condanna per omicidio nel carcere di Porto Azzurro, all’isola d’Elba dove vivo.
Io disegno borse e accessori moda/design, mi occupo della produzione e della commercializzazione attraverso la mia azienda: la Dampaì srl.
Il magazzino dell'azienda è all’interno della struttura carceraria dove, nel 2017, ho incontrato per la prima volta Zhang .
Zhang ha scontato già gran parte della sua pena e pertanto a, seguito di un contratto di lavoro, può uscire dal carcere. Zhang è un ragazzo intelligente e sa cucire molto bene. Questi sono i motivi per i quali la direzione del carcere l’ha scelto per lavorare con noi.
Zhang si occupa della gestione del magazzino e del rifornimento esterno ai Dampaì Stores presenti sull’isola d'Elba, ma non ha la patente come quasi tutti i detenuti che non hanno avuto la possibilità di rinnovare le loro patenti scadute nel corso degli anni.
Così sono io o altri collaboratori a guidare e lui ci accompagna e si occupa di distribuire le borse nei negozi.
Il Settembre scorso eravamo tutti in fiera al Mipel a Milano, così abbiamo comprato una bicicletta elettrica per Zhang e lui ha rifornito i vari punti vendita, da solo, trasportando le borse in bicicletta.
E’ uscito due volte e due volte ha preso la febbre.
“Ma come Zhang! Grande e grosso come sei, e prendi la febbre?” dico io.
“Non ero più abituato al vento” risponde lui.
La nuova borsa VENTOSA (di vento) è interamente realizzata all'interno del carcere di Porto Azzurro
Simona Giovannetti Architetto