La cattiveria dote indispensabile nello sport. Incredibile per noi anziani. Logico forse in un mondo sempre più violento, in cui fanno spicco guerre, femminicidi, abusi sui minori, minacce alla natura. E il mondo dello sport si adegua, in particolare il calcio e spuntano espressioni del tutto fuori luogo e diseducative, come quelle di molti allenatori e addetti ai lavori e si scopre che per vincere le partite occorre maggiore cattiveria oppure ci vuole molta rabbia nel gioco, per “far male” all'avversario segnando. Un dettaglio piccolo al cospetto dei drammi dell'umanità, però pare uno dei simboli della grande degenerazione etico-sociale in atto da anni. E il Coni, le Federazioni sportive che dicono? Niente o quasi. “Ci vuole più cattiveria”, si sente e si legge sui media riferendosi al gioco, e da poco è stato introdotto anche un'altra perla: per rianimare una squadra del nord in declino il mister ha detto: “Voglio giocatori arrabbiati”. Insomma, solidarietà, divertimento, amicizia, salute e simili valori dello sport, chi se li ricorda più? Qualcuno dirà che questi nuovi e brutti termini sono solo modi dire, forse propri di un settore un po' a corto di capacità espressive, ma di fatto tali concetti vanno a inquinare le menti di tutti e i ragazzini si formano anche con tali negatività. Di certo sport e cattiveria non sono conciliabili. Ma perché il mondo dello sport non reagisce e tenta di rilanciare i suoi valori autentici e per spronare i giocatori non si punta banalmente sul forte impegno, sulla determinazione, la concentrazione, quindi sulla motivazione e altro del genere. Del resto per quanto sono pagati i giocatori, dovrebbero essere proprio “buoni”, altro che cattivi e dovrebbero correre all'infinito con grande lena e ben sorridenti. Invece, dicono quelli che “contano”, i giocatori devono avere “gli occhi di tigre” ed essere "feroci", secondo i termini ora in voga. Influisce di certo, come dicevo all'inizio, una società sempre più individualista, arida e violenta. L'uomo esalta sempre di più i disvalori? Non dimentichiamoci poi che dentro e fuori lo sport c'è razziano e mille altre faccende pessime di soprusi e disparità sociali che pesano. Come contrastare questa triste situazione? Come far riscoprire i valori propri dello sport e della vita e quindi la gioia del praticarlo, la bellezza dei gesti atletici, dell'incontro con altri ragazzi o uomini e donne, una festa. Forse non c'è più speranza anche perché nel professionismo sono in ballo miliardi, un business colossale e dominano spesso, circa i valori, solo quelli economici. La scuola forse si salva, vuole ancora formare i ragazzi nel modo giusto. Alla media Pascoli di Portoferraio inventammo il Premio alla sportività Paolo Valenti. Ma che risultati si possono ottenere se tutto intorno prevalgono la cattiveria e la rabbia? Ricordate la famosa frase del campionissimo Gino Bartali? Ma sono troppo pessimista, in fondo quando vedo in un campetto da calcio di periferia, due ragazzini che ridono e si abbracciano, uno bianco e uno nero e sono contenti senza stare a vedere chi di loro ha vinto o perso, c'è ancora un filo di speranza.
Stefano Bramanti