Ieri sera, sul finire di una cena tra amiche che ci ha viste “impegnate” in argomenti molto “poco impegnati”, lancio la bomba: “Voi che ne pensate delle bocciature alle medie? Ce ne sono state tante in prima quest’anno…”.
“Il mi figliolo è stato bocciato!” La mia amica, confessa candidamente e con una certa serenità che il primogenito non è stato ammesso alla classe seconda.
Momento di silenzio misto a panico e imbarazzo. Segue conversazione di mezz’ora comprensiva di spiegazioni, domande, sorrisi, ipotesi, frasi fatte, tra cui spicca la mia “io la bocciatura le vedo come una seconda possibilità”.
Devo averla detta grossa perché le mie amiche non mi sono sembrate tanto concordi.
Allora ci penso e ci ripenso e giungo alla conclusione che in quella frase, in quel concetto, io ci credo davvero.
Premetto di non avere ancora nessuna esperienza lavorativa di insegnamento da vantare nel mio curriculum, ma sono stata studentessa a lungo, sono mamma di due bambini in età scolare e vorrei poter dare il mio contributo alla discussione in merito alle bocciature lanciata qualche giorno fa su questo giornale. Procedendo per gradi.
Credo che “scomodare” Don Lorenzo Milani qui sia davvero una forzatura. Non credo che paragonare due epoche così culturalmente e politicamente distanti come gli anni ’60 e i tempi attuali possa contribuire a far luce sul tema.
Nel messaggio dei ragazzi di Barbiana, che chiedevano a gran voce “NON BOCCIARE”, vi era qualcosa di più sottile e socialmente importante: in quanto figli di ignoranti contadini, abitanti di un villaggio dimenticato dalle istituzioni e anche da Dio (ricordiamo che Don Milani venne mandato lì, a Barbiana, in “punizione”).
Il famoso “Lettera a una professoressa” rispecchiava comunque il tempo che fu: proponeva il celibato per gli insegnanti, negava l’attività sportiva e la ricreazione ai ragazzi, e “Noi per i casi estremi si usa anche la frusta”. Sarò ripetitiva, ma il paragone con i tempi moderni mi sembra davvero un azzardo.
Entrando nel vivo della questione, non credo che la modalità dell’espressione dei giudizi possa essere una questione così fondamentale; lettere o numeri, stelline o smile, i ragazzi vanno a scuola principalmente per apprendere ed essere valutati, soprattutto da un certo grado di scuola in poi, quindi o si pensa e propone una svolta epica, abolendo la fase del giudizio (utopistico) o si accetta che in qualche modo gli insegnati devono pure procedere ad una complessiva verifica e valutazione delle competenze acquisite.
Più che pensare all’opportunità o meno del voto numerico, io farei un discorso di ben più ampio respiro, ovvero: siamo sicuri che le cosiddette prove (o verifiche) oggettive ci abbiamo consegnato la possibilità di valutare in maniera uniforme gli studenti?
Siamo rimasti talmente abbagliati dal modello nord-americano da non renderci conto che stiamo perdendo la possibilità di valutare i ragazzi nel loro processo di crescita, le cosiddette competenze trasversali, per non parlare delle implicazioni anche didattiche di tale tendenza.
Con l’obiettivo di avere dei risultati oggettivamente valutabili, e forse con il timore di dover ammettere di avere una classe di ciuchi, sempre più insegnanti si limitano a proporre schede da riempire e caselle da barrare, con il risultato che i giovani d’oggi non sanno né scrivere né parlare (talvolta né pensare) e che i genitori non protestano più di fronte ad una verifica che è “oggettivamente” un cimitero di errori.
Abbiamo il coraggio di dire chiaramente che la partecipazione delle famiglie alla vita scolastica ha anche i suoi nodi problematici, come appunto l’intromissione in questioni prettamente didattiche e quindi di competenza esclusiva dell’insegnante, e che la figura del docente è, rispetto al passato, spesso snobbata e criticata dalla famiglia stessa, ovviamente in presenza dei figli che si sentono poi autorizzati ad interagire con gli insegnanti come fossero amichetti delle Ghiaie.
Tornando alla questione bocciatura: perché farne un dramma? Ai miei tempi, e non si parla del Giurassico, c’era chi faceva prima-prima, seconda-seconda, terza-terza e l’estate andava allegramente al mare e c’era chi veniva bocciato e restava chiuso in casa tutta l’estate.
Le bocciature ci sono sempre state e non ho visto famiglie sfasciarsi, ragazzi finire per strada o genitori dallo psicologo per una bocciatura.
Bocciare un ragazzo spesso significa dargli un’altra possibilità, soprattutto quando la bocciatura non avviene per motivi legati prettamente all’apprendimento.
Bocciarlo significa dire a lui e alla sua famiglia che vogliamo aiutarlo a costruire della basi più solide per affacciarsi al futuro. Nelle situazioni di ragazzi con particolare disagio il “cambiamento” può essere addirittura positivo, andando ad interrompere delle dinamiche relazionali e comportamentali negative.
Si dice che la maggior parte dei ragazzi bocciati vive in situazioni di disagio socio-culturale misconosciuto ai docenti.
Ma parliamo del solito paese? Portoferraio? Marina di Campo? MISCONOSCIUTO??? Ma se sappiamo tutto di tutti! Non ci raccontiamo le barzellette! E poi abbiate pazienza, ma le situazioni di disagio socio-culturale (ed aggiungo familiare) non sono di competenza ASL? Perché qui mi sembra si stia andando verso una strada pericolosa ma che tanto piace, quella della scuola che è causa e soluzione di tutti i mali.
La scuola è un’ “agenzia formativa” che, di concerto con le famiglie e le istituzioni preposte (leggi Comuni e ASL) deve promuovere la crescita del bambino e concorrere alla formazione del cittadino di domani; mi sembra un tantino eccessivo pretendere che gli insegnanti vadano a scavare nella vita familiare di ogni singolo ragazzo.
Ritengo più sensato che debba essere la ASL casomai ad avvertire i Dirigenti Scolastici e gli insegnanti dei casi di particolare disagio, sempre che le famiglie non oppongano resistenza trincerandosi dietro al diritto alla privacy.
Il Dott. Coscarella, non me ne voglia, propone la scuola fino al 30 giugno per i “duri” contro il 30 maggio per gli “eccellenti”.
Questa sì che sarebbe un’ottima idea per l’integrazione scolastica! Mandiamoli anche in giro con le orecchie da asino alla Lucignolo. Suvvia Dottore, faccia il serio, ed ognuno faccia il suo lavoro.
Si citano leggi e diritti, ma cosa dico io a mio figlio, il cittadino planetario del domani, quando vedrà che i suoi compagni, non studiando per mancanza di impegno (non di capacità), verranno ugualmente promossi, magari con gli stessi voti che lui ha ottenuto con tanto sacrificio ed impegno essendo un ADHD+DSA che la Nostra ASL non ha voluto certificare (quindi niente 104 e niente sostegno)?.
Quando chiesi in prima elementare di bocciare il bambino perché era visibilmente immaturo, soprattutto da un punto di vista relazionale ed emotivo, mi venne detto “non possiamo bocciarlo, ha tutti 8 e 9”.
A distanza di tre anni, ha ancora 8 e 9 ma cambia scuola per la seconda volta perché le sue caratteristiche non gli rendono la vita scolastica propriamente una passeggiata. Col senno di poi quella bocciatura forse sarebbe stata provvidenziale.
Citando Giovanni Bollea, padre della moderna neuropsichiatria infantile, “Le madri non sbagliano mai”.
Linda Del Bono