Vorrei aggiungere qualche considerazione, alle tante che sono già state fatte nell’ultima settimana, sulla scuola e le sue problematiche. E’ chiaro che la bocciatura di un allievo è la certificazione di una sconfitta, non soltanto sua personale e dei suoi insegnanti ma dell’intera società e della classe politica che l’ha guidata: decenni di tagli alle risorse, di accorpamento di classi e plessi, di progressiva riduzione del tempo pieno e dei docenti, anche quelli di sostegno, impoveriscono l’offerta formativa e rendono culturalmente più fragili e insicuri i nostri ragazzi.
Ha ragione Roberta Libotte quando scrive che in una scuola ideale, ma non impossibile, ricca di aiuti e di proposte alternative, probabilmente le bocciature non esisterebbero.
Ma c’è dell’altro, secondo me, ed è la considerazione che della scuola e dei docenti che vi operano gli studente percepiscono da parte delle loro famiglie.
Genitori e insegnanti svolgono un ruolo delicatissimo, quello di educare le giovani generazioni, trasmettere valori, conoscenze e prepararle alla vita. In questa “missione” dovrebbero operare all’unisono o con la maggiore collaborazione possibile.
I bambini, i ragazzi hanno antenne sensibilissime e captano immediatamente quanto i loro babbi e le loro mamme considerino la cultura, abbiano fiducia nell’istituzione scolastica e stima nei confronti dei docenti che si prenderanno cura di loro. Questo “ patto non scritto” è alla base del successo scolastico.
Purtroppo, invece, nel tempo, accanto ad un depauperamento delle risorse, si è verificato anche un aumento della conflittualità tra genitori e insegnanti: spesso una nota disciplinare non viene interpretata come un sacrosanto richiamo ad un comportamento corretto ma come un sopruso nei confronti del figlio; un voto negativo non come l’avvertimento che occorre studiare di più e meglio per ottenere determinati risultati, ma come un giudizio sbagliato, degno di contestazione; una bocciatura non come la registrazione di un insuccesso per quell’anno, al quale si potrà porre rimedio nel successivo, riscattandosi con onore, ma come una calamità, un’ingiustizia intollerabile alla quale opporsi, facendo ricorso, appellandosi ad avvocati, cercando di trovare un cavillo formale che annulli la decisione (sofferta) del consiglio di classe.
E’ chiaro che un atteggiamento del genere da parte della famiglia, sul piano educativo e morale, è devastante per un ragazzo: ne assorbirà la lezione che per progredire non si debba impegnarsi di più, essere corretti nei confronti dei compagni, degli insegnanti, di tutto il personale, degli stessi arredi scolastici ma si debba invece contestare, rispondere male, trattare i docenti come coetanei, in una parola non fare quotidianamente il proprio dovere.
Le ore che gli studenti trascorrono a scuola sono soltanto una frazione della giornata, 5/6 su 24. Nel resto del tempo le “agenzie educative” con cui essi vengono in contatto sono diverse: includono internet, i cellulari con cui si scambiano centinaia di messaggi, la televisione, lo sport, gli amici. Ma anzitutto c’è la famiglia, la sua presenza qualitativa, l’esempio che dà, le regole che impone, non con autorità ma con autorevolezza, le raccomandazioni degli insegnanti che fa proprie: che in un’aula scolastica, ad esempio, entrando si dà il buongiorno, si mangia a ricreazione e non a tutte le ore, non ci si stiracchia come si fosse a casa propria, non si usa il cellulare, non si dicono parolacce o bestemmie, si è disposti all’ascolto, al rispetto, all’interazione, alla reciprocità, alla collaborazione. Un ragazzo ripropone all’interno dell’aula il modello educativo cui è abituato in famiglia, che è una forma di civiltà, su cui innestare tutto il resto, un ruolo fondamentale al quale una famiglia, se è davvero tale, non può abdicare.
La causa principale degli insuccessi scolastici, almeno nella scuola superiore, dove insegno, è la scarsa motivazione allo studio e un impegno insufficiente. Ma percepire l’importanza che i genitori attribuiscono alla cultura come fonte di crescita personale e umana prima ancora che di promozione sociale può essere fondamentale per loro.
I ragazzi di oggi sono abituati ad una fruizione visiva e spesso superficiale di quello che li circonda mentre lo studio richiede riflessione sulla pagina scritta, fatica, sacrificio. Attrarre la loro attenzione quando si spiega, quando si cerca di coinvolgerli nell’entusiasmo che malgrado tutto, dopo tanti anni, ancora le nostre discipline ci ispirano, non è semplice. Eppure ci proviamo, con fiducia incrollabile.
E la ricompensa, per loro, è il saperne di più, di giorno in giorno: mille occasioni di conoscenza che si aprono, mille mondi ignoti che prendono progressivamente forma sotto i loro occhi. Che i genitori ci aiutino in questa navigazione ardua e affascinante.