Una volta in un piccolo borgo marinaro, la popolazione viveva una vita semplice fatta di piccole cose, quali l’agricoltura, la pesca ed i nativi durante la stagione estiva erano soliti ritornare per passare del tempo con i vecchi ed i propri cari.
L’amore del paese era proprio in questi gesti fatti di accoglienza ed ospitalità, di sudore e di fatica, e nessuno proprio nessuno veniva lasciato indietro. Poi un giorno, il piccolo borgo scoprì la vocazione turistica, e tutto quello che i nativi avevano tramandato, spariva con l’abbandono delle terre, che con pazienza producevano l’uva, dalla quale ancora piccoli agricoltori ricavano il vino che veniva poi venduto ed alle volte trasportato in altre regioni. Al posto di queste terre da vino,
furono costruite case su case, e quei valori tramandati dai vecchi sparirono per un turismo fatto solo di consumismo e, la pesca divenne professionale con lo sfruttamento del pescato per un mercato sempre più aggressivo dove la logica del "profit" aveva cancellato anche qui l’amore per il mare e la madre natura…
Ora, in questo paese che non c’è, sono rimaste case su case vuote, che vengono abitate per un breve periodo dell’anno, lo sviluppo economico si è ridotto, come se il tempo si fosse fermato, a reclamare quell’ospitalità ed accoglienza fatta proprio delle piccole cose, magari dei fuochi per il solstizio d’estate, della processione per la patrona del paese, che secondo il calendario è stata divisa in più giorni, come se il paese vivesse a due velocità: la tradizione ed il progresso.
Lasciando la dietrologia, per la quale con i se ed i ma è pieno il mondo, non si cresce, né si vive, potrei essere chiamato nostalgico, ma preferisco il vecchio borgo marinaro, dove potevi uscire con una barchetta, passare qualche ora a contatto con il mare, che è legge di vita e ti insegna ad affrontarla in ogni suo passo, con scherzi geniali studiati a tavolino per poi ricordali e riderci ancora sopra.
Benvenuti nel paese che non c’è!
Giovanni A. Sardi