La musica e il mare, così siamo stati stasera insieme a Stefano Steven.
Musica sorella, musica buona, musica delle mani, della testa e dell'anima.
Il mare delle Ghiaie davanti, quieto e accogliente, luminoso a fette per le sciabolate dello Scoglietto. Le "sue" splendide donne, gli amici da sempre ed i tanti, tantissimi amici troppo ragazzi per essere parte dell'armata con cui cresci e da cui, che piaccia o meno, non ti separi realmente mai più.
Neanche io sono cresciuta con Stefano, sbarcata su quest'isola da adulta, attrezzata e piuttosto selettiva. Ma lui era davvero un mio compagno di classe, di quella magnifica classe che ho potuto assemblare scegliendo uno ad uno i compagni elbani, tutti diversi, ma portatori di un idem sentire e che guardano ad una precisa direzione.
Stefano stava seduto in un banco in terza fila e quando non prendeva appunti custodiva le mani dentro le tasche di larghi giacconi. Non parlava molto in classe, ma le sue chiose erano più futuribili e puntuali di un testo di Asimov.
Era invece velocissimo nella conversazione accanto al taxi, in una manciata di minuti era capace di riassumere qualche mese di pensieri, parole e opere; non appena squillava il telefono - la campanella di fine ricreazione - ti lasciava con una considerazione sulle cose dette che ti sarebbe frullata in testa per giorni.
Stasera, tornando, sono passata al parcheggio taxi ma, sotto le luci giallastre del porto, Stefano non c'era. Forse ho fatto tardi come al mio solito. Me lo devo proprio levare questo brutto vizio.