Leggendo della recente iniziativa di "Io Mare", associazione di volontariato che ha cominciato con impegno e determinazione la pulizia di varie spiagge elbane (http://www.iomareonlus.it ), mi prende un sentimento strano, di gioia, da una parte, perché finalmente ci sono sempre più persone che spontaneamente si danno da fare per migliorare il proprio ambiente, in modo diretto, efficace, solerte, documentando la propria azione con foto e reportage da prima pagina. Fa bene al cuore sapere di altri che condividono le stesse pene, le stesse urgenze, le tue idee e non sono più indifferenti.
A volte, però, quando nelle mie passeggiate giornaliere sulla spiaggia (non perché io sia terribilmente romantica, ma perché abito sul mare, e il mare è la mia vita) continuo imperterrita a interrompere i miei passi per raccogliere plastica e rifiuti, da sola, mi sento sopraffatta da tanto lavoro, che si ripresenta, puntuale, da capo, dopo ogni mareggiata. Viene quasi da paragonare le mareggiate a un dialogo che il mare tenta di instaurare con noi, onda dopo onda, spesso violenta e spaventosa, che rigurgita sulla costa tutto quello che noi, nel nostro quotidiano, gettiamo via. Le onde, le mareggiate, sono un po’ come la nostra coscienza, il nostro grillo parlante. Solo, a volte non lo ascoltiamo, spesso non lo sentiamo nemmeno.
Può darsi che vivere su un’isola così piccola, o così “magica”, come non ci stanchiamo di riscrivere in tutte le smielate brochure turistiche, ci faccia sentire superiori, o semplicemente indenni da questa corrente terribile di inquinamento da plastiche che invece caratterizza sempre più i mari del mondo.
Certo non abbiamo idea di cosa ci sia in Africa, montagne di rifiuti che diventano isole, barriere. Ci sono addirittura alcune ONG straniere che aiutano i paesi più poveri, alcune proprio creando fonti di lavoro e reddito grazie alla raccolta e riciclo di sacchetti e bottiglie. In Ghana c’è un’attività specializzata in turning trash into fashion, inventando borse, oggetti, vestiti dalla spazzatura… : in due anni con questa iniziativa sono stati raccolti 10 milioni di sacchetti dalle strade di Accra, trasformati in borse da vendere sul mercato estero a $12 l’una ( http://www.trashybags.org/index.htm ). Andare sulla spiaggia in questa capitale è un evento memorabile, ma solo se si sceglie la spiaggia giusta, quella pulita. Altrimenti lo shock è grande, inimmaginabile.
Dall’isola di Bali in Indonesia, meta incontrastata per le sue onde da surf tra i ragazzi appassionati di questo sport, pochi mesi fa un’immagine ha fatto il giro del mondo: un surfista cavalca un’onda “perfetta”, in un mare cristallino, ma costellato di rifiuti. Pazzesco, un impatto visivo che vale milioni di trattati o di raccomandazioni. Il video amatoriale qui sotto commenta che Bali is drowning in trash ed è stato visitato stato visitato da 266.318 persone.
Noi elbani potremmo essere tentati di guardare questa foto con orrore, con critiche, dal punto di vista ovattato e protetto dalla lontananza con questo paese. Ma davvero siamo così lontani e immuni da un degrado preoccupante e inarrestabile? Alcuni ragazzi elbani, surfisti doc, quelli che qualche volta ammirate da lontano tra le onde, quando per esempio a Scaglieri il libeccio soffia forte, hanno vissuto a Bali per qualche mese, la conoscono bene, potremmo farcelo spiegare da loro.
Vorrei che gli elbani rispondessero a questa domanda estremamente provocatoria, ma spontanea: se "la quasi totalità dei rifiuti nel mar Tirreno è fatta di plastica (come dicono tutte le recenti analisi), pari al 95% del totale, con buste e frammenti che rappresentano il 41% di questo tipo di spazzatura marina", che senso ha fare “solo” la pulizia delle spiagge? "Io Mare", "Italia Nostra", “Legambiente", le varie associazioni di volontariato, i giovani, le scuole, hanno veramente la forza titanica e la possibilità di contrastare un collasso così totale delle nostre spiagge con il solo ausilio della loro buona volontà, tempo e dedizione?
Un’altra domanda ancora più provocatoria: perché, di fronte alla vista di un’unica conchiglia sulla battigia io mi stupisco, mi soffermo ma, per farle una foto, mi preoccupo di scansare gli inevitabili tappi di bottiglia e pezzi di rifiuti di ogni genere accanto? È davvero rara una conchiglia adesso sulle nostre spiagge? Chiediamolo ai nostri bambini.
Potrei allora essere tentata di pensare: una volta pagata la tassa dei rifiuti all’ESA, ci sentiamo con la coscienza a posto? così i rifiuti non sono più un problema nostro? E se invece cambiasse il metodo di determinazione dell’importo dovuto, con un calcolo effettuato sul volontariato in questo settore, grazie allo sforzo personale, quotidiano, onesto di ognuno di contribuire e di fare del proprio meglio, all’origine, condizionando il mercato e condizionando la nostra personale produzione stessa dei rifiuti? Non sarebbe l’Elba allora più meritevole di Bali, più accorta dei paesi africani, più responsabile degli abitanti del Mar Tirreno, più speciale per i nostri figli?
Cecilia Pacini