Questa settimana abbiamo intervistato il cuoco Massimo Poli che ci racconta la sua storia di incontri e di cucina.
Massimo è il cuoco del ristorante “La Taverna dei Poeti” di Capoliveri da dodici anni, ha iniziato giovanissimo a cucinare, ha avuto la fortuna di incontrare le persone giuste che gli hanno fatto vedere la bellezza di questo lavoro. La passione, la curiosità e la voglia di mettersi continuamente in gioco sono le sue caratteristiche. Insieme a Paolo, il proprietario del locale, ha intrapreso l’iniziativa “L’Elba in un barattolo” per la commercializzazione della palamita e di altre ricette elbane di pesce. Ha raggiunto la notorietà presso il grande pubblico per la partecipazione alla trasmissione televisiva “La prova del cuoco”
Come è iniziata la passione per la cucina?
La mia esperienza professionale è iniziata per alcuni incontri, ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste al momento giusto che mi hanno fatto individuare questa strada..
Hai iniziato da giovane?
A 15 anni, e non ne sono più uscito.
Hai fatto la scuola alberghiera?
No io ho frequentato l’istituto professionale, che poi ho abbandonato, perché avevo capito quell’estate che andai a lavorare in una pizzeria, che questa era la mia strada. Capii anche che per seguirla in maniera seria, soprattutto quando ti manca l’esperienza e la formazione, devi dare quel plus in più di impegno e di umiltà. Ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste. La prima volta che entrai in un locale ero stato rimandato a scuola, era luglio e ancora non avevo trovato lavoro e il mio babbo incominciava a preoccuparsi, i miei genitori avevano una forte cultura del lavoro. Iniziai a lavorare al Kontiki a Marina di Campo, era gestito dal sig. Vasco. Avevo sentito che cercavano un aiuto piazzaiolo, dentro di me dissi: non sarà mica così difficile stare dietro a uno che fa le pizze? Questo signore mi disse che il pizzaiolo l’aveva abbandonato 15 giorni prima ed aveva bisogno di qualcuno che facesse le pizze. Gli dissi se mi teneva 15 giorni e m’insegnava a fare qualcosa, poi se andavo bene, bene altrimenti me ne tornavo a casa e non mi pagava. L’incontro con questo signore mi aprì mezzo di questo mondo, il cuoco di quella cucina mi volle con lui e da li incominciai a capire come funzionava e quanto era bello questo lavoro, feci due stagioni con loro. L’altro incontro importante è stato con un’altro cuoco: Loriano Mura, che ora lavora a Berlino, andai a lavorare da lui al ristorante Il Cantuccio. Era pieno inverno e cercavano una persona in cucina, lui mi fece intuire quanto era bello questo lavoro se è fatto in una maniera professionale. Devi vivere per fare questo mestiere, ci devi pensare 24 ore, non ti abbandona mai, la mente deve essere sempre al lavoro anzi le migliori idee ti vengono quando sei fuori dal posto di lavoro e hai un po’ più di libertà.
Questi due incontri sono stati fondamentali, hai fatto delle esperienze fuori dall’Elba?
Ho fatto varie stagioni invernali ed estive in Valle d’Aosta e in altre località di montagna e ho sempre imparato oltre ai vai piatti, la mentalità delle persone con le quali ho lavorato e gli input che ti davano.
Una cosa che io chiedo sempre, a casa tua cucinavano bene? Perché credo che l’educazione al gusto avvenga soprattutto in casa.
Noi siamo sei fratelli a casa mia è sempre stato un piccolo ristorante.
Eravate almeno in otto!
C’era anche la nonna
Allora in nove!
Accontentare nove persone a pranzo e cena non è semplice.
Chi cucinava la mamma o la nonna?
Sempre la mamma, faceva e fa tutt’ora. Ora sono rimasti in due, lei e il mio babbo, ma butta sempre mezzo chilo di pasta!
E’ la tua mamma che ti ha dato le basi del gusto.
Pochi piatti e fatti bene
La mamma è elbana?
Lei di Portoferraio e il mio babbo di Marina di Campo.
Quasi una famiglia interculturale!!
Ieri passavo da Via Roma, non so chi stava cucinando c’era un buon profumo di ragù, era il profumo di casa mia.
Le basi vengono da casa, un po’ di esperienza in giro e tanta passione.
Tanta esperienza in giro estate e inverno non mi sono mai fermato da quando ho 14 anni e poi a livello professionale l’incontro importante è stato con Paolo, io sono entrato qui che era aperto da due anni.
Quanto tempo fa è avvenuto?
Dodici anni fa. Ci si piacque subito professionalmente e lui la prima cosa che fece prese un foglio bianco e mi disse: fatti un menù. Io gli dissi ma ti è andata proprio male in questi due anni, se arriva uno che non conosci e vuoi un menù da capo; lui mi disse che aveva fatto due stagioni strepitose e io gli risposi che se aveva fatto due stagioni strepitose, a parte due cosine mie, non avrei cambiato niente. Già cambia la mano di chi cucina se cambi anche il menù i clienti ci rimangono male, penso sia un discorso intelligente far trovare quest’anno quello che hanno sempre trovato, se poi resto qui nei prossimi anni poi il menù diventa mio. Bisogna avere l’umiltà e l‘intelligenza di fare un certo tipo di percorso. Paolo quando vede le potenzialità da carta bianca non a caso mi sono fermato qui da dodici anni. Se voglio posso ogni anno cambiare menù e fare un altro locale e così mi diverto.
E’ anche uno stimolo a cambiare
In questo mestiere si vive di stimoli, è la cosa principale.
La tua è una formazione tutta sul campo fatta di esperienze.
Tanto lavoro e tanti incontri umani e sono stato molto fortunato. Anche l’esperienza de “L’Elba in un barattolo” è nata da degli incontri che mi hanno dato qualcosa.
Com’è che avete deciso di realizzare questo progetto?
L’origine parte da lontano, da circa 18 anni, da quando ho conosciuto mia moglie e la sua famiglia che sono di origine ponzese. E dalla frequentazione di un personaggio che è venuto a mancare da poco si chiamava Donato, era di Marina di Campo, era un pescatore eccezionale, la palamita all’Elba l’hanno fatta conoscere i ponzesi, la cucina è contaminazione.
La cucina è il primo luogo dove c’è contaminazione!
I nostri piatti tipici di pesce sono fatti di stoccafisso e baccalà e facevano parte degli scambi commerciali perché il merluzzo qui non si pescava.
Donato è stato una figura importante per me, fin da piccolo mi ha insegnato molte cose sui pesci, sulla pesca, sono sempre andato sulla sua barca, avevo anche un po’ di timore perché era una persona imponente. L’anno che lavorai al Cantuccio da Loriano lui ci portava le palamite, si metteva in cucina a pulire il pesce e raccontava, quella è stata una scuola per me. Racconti di vita di persone legati alla pesca e al pesce. Quest’incontro è stato fondamentale come quello con la mamma di mia moglie, i ponzesi hanno fatto gruppo in una zona di Marina di Campo erano per lo più pescatori e la parte del pescato che non veniva venduto veniva suddiviso nelle varie famiglie dei marinai. Le donne si mettevano insieme a lavorare la palamita, gli zerri secchi e quelli sotto sale e se li dividevano in parti uguali, tutte queste cose erano univano, era un modo di vita conviviale. Queste cose sono state fondamentali per questo progetto.
Raccontare la storia che c’è dietro ad un prodotto è il modo per dargli un’anima.
Poi è stato l’incontro con Paolo che ha creduto insieme a me a questo progetto, come Donato è stato il primo insieme a Marcello Rossi a portare dentro la ristorazione la palamita, perché prima era un prodotto da famiglia, se ci si può prendere un merito io e Paolo è quello di averlo commercializzato all’Elba. L’abbiamo portato fuori dalle case, fuori dai ristoranti e abbiamo cercato di commercializzarlo. E’ un’altra modalità perché cucinarlo per il ristorate è come cucinarlo a casa mentre commercializzarlo è un’altra lavorazione.
Mi racconti l’esperienza che avete fatto nella trasmissione “ La prova del cuoco “
Ne sono state dette di tutti i tipi ma è andata così: tre sere prima di quando ci contattarono c’era a mangiare qui una signora bionda e Paolo scherzando mi disse: Massimo mi raccomando che al tavolo 7 c’è la Clerici, dai Paolo sto lavorando, gli dissi io, e lui: Massimo mi raccomando la Clerici. Dopo un po’ gli dissi Paolo abbozzala con questa Clerici. Tre giorni dopo Paolo venne chiamato da una persona della redazione.
Quella signora era la Clerici?
No non era la Clerici, Paolo pensava che fossi io che gli facevo un contro scherzo. Dopo un po’ che parlava si rese conto che non era uno scherzo!! La redazione aveva fatto prima una selezione su internet di 10/15 ristoranti dell’Elba, poi ne selezionarono sei o sette e poi vennero sul territorio. Elio della redazione fece l’intervista a me e ad Antonella, e altri due o tre locali. Intervista di tre minuti lui era già stato alla Botte Gaia, con Antonella avevamo già fatto delle cose insieme, c’era già una collaborazione e un’amicizia precedente. Lui è venuto già con l’idea di farci collaborare, due ristoranti, una donna e un uomo, io che chiacchiero di più e Antonella poco, due locali diversi. Decisero di scegliere noi e da li cominciò la collaborazione con la redazione, una grande professionalità, siamo stai in contatto tutto il mese di agosto, la prima puntata è stata il 13 settembre. Quando andammo a Roma pensavo di trovare un ambiente ultra professionale e un po’ freddo invece erano tutti molto socievoli, la Clerici grande professionista. Forse a maggio faremo qualcosa su Napoleone, siamo andati in trasmissione con l’unico vero intento di fare pubblicità al territorio. Ogni puntata avevamo portato dei temi come la miniera, la dominazione spagnola,ecc.
Ve li chiedevano loro questi temi?
No li sviluppavamo noi. Ci dissero che potevamo portare dei prodotti tipici che non era necessario sviluppare altri temi, io dissi che noi avremmo portato un tema diverso per ogni puntata e poi hanno conosciuto Franco della “Petite Armeè” e l’hanno sempre voluto perché Napoleone fa ascolti. All’ultima puntata volevano Franco, noi si cambiava sempre la dama e le abbiamo fatto fare il vestito da una stilista di Portoferraio che fa rivisitazioni di vestiti storici, i costumisti della Rai sono rimasti stupiti e hanno voluto il contatto. Abbiamo fatto le trasmissioni con questo spirito.
La soddisfazione di essere valorizzati per la professione.
Una puntata portai la panzanella fritta. I giorni recedenti la trasmissione c’era l’anteprima sui giornali locali e non ti dico quanta gente si fermava al ristorante a chiedere della panzanella fritta.
Il giochino era di preparare dei piatti facili, televisivi, con poco e che parlassero del territorio. Quando tornai la settimana dopo mi dissero che in cinque anni non avevano mai visto tante mail per la panzanella fritta. Si parlò della tonnina e della panzanella elbana.
E’ stata una bella esperienza
Io il mio lavoro lo interpreto così, non mi va di fare sempre la stessa cucina, mi piace creare dei piatti nelle situazioni nelle quali mi trovo La cosa che più mi riempie di gioia e quando mi dicono che "si vede e si sente il tuo zampino" nonostante cambi il modo di cucinare continuamente, per me è una forma di rispetto nei confronti dei miei commensali “adattarsi agli altri senza snaturarsi, faticoso ma piacevole”.
Valter Giuliani http://www.elbataste.com/