Sarò costretto ad arrendermi. Di fronte alla invasione che sembra inarrestabile nella nostra lingua parlata e scritta di termini inglesi, temo che sia inutile ogni forma di resistenza.
Nei giorni scorsi sulla stampa locale ho letto che la M/n Liburna è stata sottoposta ad un processo di “refitting”. E che la Toremar sarà “Official carrier” del bicentenario napoleonico.
Anziché scrivere che i locali passeggeri della Liburna sono stati rinnovati e resi più accoglienti si è preferito ricorrere ad un anglicismo che peraltro credo abbia un significato un po’diverso, precisamente quello di riparare o sistemare una imbarcazione. Al posto di Offcial carrier si potevano usare le parole Vettore ufficiale, ma certamente quelle inglesi hanno un suono diverso; sono più suggestive.
Per carità so benissimo che, nell’epoca della globalizzazione, non si può sempre rifiutare l’immissione di parole straniere. Non faccio una questione di purismo linguistico. Ma il ricorso sfrenato alla lingua inglese mal lo digerisco. Anche perché moltissime degli anglicismi ormai in uso nel linguaggio di determinati settori della vita sociale come nel calcio o nel mondo dello spettacolo; nel linguaggio politico, economico come in quello quotidiano sostituiscono spesso e volentieri parole presenti nel nostro ricco vocabolario che sono di una semplicità estrema e perfettamente calzanti.
Pensiamo al calcio. Se la palla va fuori è “out” ; un calcio d’angolo è “corner”; non si fischia più un rigore ma un “penalty”; il vecchio cannoniere ha assunto la veste di “bomber”; la Coppa dei campioni è diventata la “Champions league”. Nell’ambiente dello spettacolo il direttore artistico si è tramutato in “art director”; una brava attrice del cinema perché chiamarla Stella? Per favore è una Star! Lo spettacolo è uno show; e vorresti mettere la suggestione che ti trasmette la parola speaker contro quella, piuttosto grossolana, di annunciatore?
Un tempo i nostri politici erano più sinceri. Apertamente dicevano che era necessario contenere e anche ridurre drasticamente la spesa pubblica. Oggi no! Per indorare “la pillola” parlano di “spending review”; l’interrogazione parlamentare è stata tradotta in “question time”. Di recente il nuovo Segretario del Partito democratico ha annunciato un Jobs act vale a dire un progetto/programma per il lavoro. Un incontro di importanti personaggi è un “summit”. Nel linguaggio del giornalismo politico, soprattutto in tempi di elezioni, l’appoggio, il sostegno, l’aiuto di qualcuno ad un candidato è tradotto in “endorsement”.
La parola “economia” si trova spesso scritta con la y finale, economy.
E naturalmente se è vecchia è old; se nuova è new; se verde green. Anche la democrazia perde spesso la “zia” finale sostituita da una c e una y e diventa quindi “democracy”.
Se si organizza un convegno sarà bene scrivere nell’invito “meeting o convention” oppure se si tratta semplicemente di un seminario o gruppo di lavoro “workshop”; e per carità evitare di dire che è prevista una pausa/caffè. Che diamine, si dice “coffee break”. Senza l’uso di queste parole l’invito risulterebbe sicuramente poco allettante.
Anziché parlare di governo di una Pubblica Amministrazione o di gestione di una Società privata è ormai diffusissimo l’uso della parola “governance”. I responsabili della governance sono i dirigenti? No, ma che dico, sono “managers”. Se poi sono dirigenti altolocati allora si chiamano “Executives”. Spetta a loro curare la pianificazione aziendale, elaborare piani industriali o finanziari? No i managers o gli executives fanno solo “business plans”.
Una Società ad azionariato diffuso è una Public Company. Se va male sul mercato diventa Bad; se va bene è Good. Un bravo manager o executive di una Public company deve preoccuparsi quotidianamente della sua governance e elaborare efficaci business plans per evitare che diventi una bad Company.
Sto esagerando, certo. Ma di questo passo arriveremo ben presto a parlare e scrivere confezionando frasi simili. Alcuni mesi fa ho avuto occasione di leggere una lettera della Amministrazione provinciale di Livorno che nell’oggetto e in appena dodici righe di testo conteneva ben 8 anglicismi.
Nel presentare il progetto di riqualificazione della rada di Portoferraio si è pensato bene di usare l’espressione “water front”. La corrispondente in italiano “fronte mare” evidentemente è stata giudicata dagli estensori del progetto troppo comune e di poco effetto.
Alcuni giorni or sono ho saputo che a Portoferraio esiste il “Medical job” cioè l’Ufficio di medicina del lavoro. C’è anche un Medical Dental Service cioè uno studio di odontoiatria. Nell’atrio dell’Ospedale sono rimasto esterefatto nel leggere in una locandina che per avere in tempi rapidi informazioni sulle procedure da seguire per fare delle analisi o iniziare una cura, dobbiamo telefonare all’ “Help Desk”.
Ho chiesto ad un amico di Capoliveri, presente con me nell’atrio, se sapeva cos’era l’ help desk. Mi ha guardato come se lo prendessi in giro. Poi ha letto l’annuncio contenuto nella locandina ed è sbottato, mandando gli ignoti autori... a quel solito posto. O, come si dovrebbe dire con buona creanza, nella solita “location”.
In conclusione nessuno mi può togliere dalla testa che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’uso di termini inglesi oltre che nascondere talvolta una certa ignoranza della lingua italiana, è diventato ormai una sorta di moda. Un vezzo per darsi un certo tono; per apparire bravi e preparati.
Contrariamente a quello che ho detto all’inizio non intendo arrendermi e non andrò dal Libraio per acquistare un vocabolario di inglese aggiornato. Ci andrò, invece, per comprarmi la ristampa del Dizionario vernacolare elbano del Prof.Domenico Segnini.
Giovanni Fratini