Ma tu guarda le coincidenze.
Sono arrivata trafelata e poco informata all’incontro di questa mattina ”Isola d’Elba: la Terra in mezzo al Mare” nella sempre bella cornice dell’Enoteca delle Fortezze.
Non so voi, ma io quando arrivo lassù e mi si apre il golfo di Cosmopoli davanti, ho un sussulto di gioia in mezzo allo stomaco: me lo fa ogni volta.
Poi lì, su quell’erbetta, ho incrociato alcuni volti noti che non vedevo da un bel po’, ed è stato subito come di domenica.
Parliamoci chiaro: a volte si ha la sensazione di appartenere a una grande famiglia elettiva, che si riunisce “per argomenti” ai quattro angoli dello scoglio, così finiamo con il fare involontariamente la conta (qua c’eri, là no ma oggi si, che bello).
Serenditpity, dicevo, perché in breve ho capito che le parole chiave e il filo rosso che collegavano l’intera manifestazione, erano: rete, racconto, identità culturale, attenzione ai valori del luogo e, udite udite visitatore responsabile e affettivo al posto del classico turista.
Seduti al tavolo dei relatori, tre rappresentanti a vario titolo di Slow Food Italia (dalla Presidente per la Toscana Raffaella Grana al referente per il progetto isola Slow Massimo Bernacchini, passando per Fabio Pracchia di Slow Food Editore), Sergio Rossi in qualità di giornalista e scrittore, Cosetta Pellegrini Vice Sindaco della città di Portoferraio e Paolo Pacini Assessore di Agricoltura, Pesca e Turismo della Provincia di Livorno.
A introdurre i relatori, Carlo Eugeni, Fiduciario della Condotta Slow Food Isola d’Elba e Capraia.
Gli interventi di Grana e Bernacchini, mi hanno subito fatto capire che il progetto di Isole Slow, nasce dalla volontà di mettere in rete le terre in mezzo al mare, che a dispetto di distanze geografiche a volte importanti, mantengono vive somiglianze culturali preziose. Ci si riferisce dunque alle Identità Culturali e quindi alle persone e all’insieme delle relazioni che queste intessono tra di loro e nel territorio in cui vivono e lavorano. Una rete, quella delle isole slow, che parte “dal basso”, e che si preoccupa di unire la qualità del cibo a una proporzionale crescita di consapevolezza circa i temi della sostenibilità ad essa connessi.
E’ chiaro che in un simile scenario, la narrazione e la capacità di raccontare i luoghi attraverso il fare (bene) delle persone coinvolte, diventano il volano di un possibile e auspicabile cambiamento. Un cambiamento che anche in questo caso è voluto e creato dal basso. Un cambiamento che introduce una nuova figura all’isola d’Elba: non più il turista balneare ma un visitatore responsabile e affettivo, che avrà a cuore la possibilità di fare differenti esperienze sull’isola, in diversi momenti dell’anno.
Sarà mica che stiamo parlando di destagionalizzazione? Non è che imparare a raccontare il territorio, anche in questo caso dal basso, potrebbe essere non solo utile ma fortemente auspicabile?
Mentre la mia mente vortica di pensieri “serendipitici” (con buona pace dell’Accademia della Crusca), l’intervento di Pracchia mi introduce nel mondo del vino.
Capisco che anche in questo settore c’è un grande ritorno alle origini e soprattutto alla genuinità del prodotto, che comporta una ricerca di sapori che negli anni ’70 e ’80 sono stati messi al bando dalla Dea omologazione che, in nome di un abbattimento di costi (e sbattimenti) ha introdotto Sua Maestà la produzione di massa, decretando la fine delle sfumature, della complessità di profumi e delle storie che un buon bicchiere di vino genuino è in grado di raccontarci. Storie, eccoci al punto: il DNA del vino, dato anche dalla sua bucciosità, è in grado di raccontarne in quantità e di diventare un ulteriore filone narrativo pensabile e proponibile sulle isole.
Bingo! La mia mente narrante è in sollucchero: navigo su galeoni romani pieni di prezioso mosto, immagino orde di svedesi che sbarcheranno all’Elba nel prossimo autunno per partecipare a magnifiche manifestazioni ed eventi organizzati di concerto tra cittadini e amministrazioni, quando Sergio Rossi mi strattona con il suo realismo colorito e a tratti un po’ beffardo.
Principia infatti, dicendo che è richiesto a chi venga sull’isola a portare progetti idee, stimoli e proposte, la capacità di immaginarsi quanto difficile sia vivere un contesto strano come il nostro.
Anche qui, manco a dirlo, la mia mente cantastorie, si rifugia nel concetto di empatia e cerca disperatamente di portare avanti il suo film ma Sergio è bravo a “stanarmi”, a esortarmi a trovare uno sguardo meno sognante sulle cose. Del resto, afferma il Rossi, il melting pop è roba nostra: trovatemi un’altra terra in cui sia possibile degustare contemporaneamente un piatto di pasta al pesto e degli struffoli. Dopo secoli di invasioni e scorribande, di fatto è impossibile definire con certezza cosa sia espressione di una cultura popolare elbana. La diversità elbana è simile a una Unione di Stati (nemmeno troppo federati tra di loro) e mentre immagino una ipotetica bandiera a api e strisce, Sergio Rossi incalza ricordando che il nostro è un territorio complesso sul quale insistono svariate forme di controllo amministrativo che, ad oggi, non sono state in grado di concertarsi in una visione unica e armonica. L’idea di recuperare essenza, varietà e mestieri, dunque è nobile, ma va calata in una realtà che fatica ad esprimerne altrettanta.
Purtroppo si fa tardi e non riesco ad ascoltare l’intervento di Cosetta Pellegrini e dell’Assessore Pacini. Dalle righe che la mia amica Cecilia Guida mi fa avere, intuisco il senso del discorso ma non ne scrivo volentieri, per timore di non coglierne appieno il significato.
Me ne scappo trafelata più di quanto non fossi alla partenza, con un misto di pensieri per la testa ma su tutto è la serendipity a vincere.
Le difficoltà sono oggettive ed evidenti e trovo responsabile oltre che doveroso parlarne. Di fatto l’eterogeneità e la ricchezza culturale che esprime un territorio così variegato, non è stata ancora sfruttata in termini propositivi. Nel tempo abbiamo sprecato risorse, energie, capacità progettuali. L’isola, ha ragione Sergio Rossi, ha dato i natali a moltissimi violini solisti di straordinario talento ma è ancora orfana di Direttori d’Orchestra.
Rifletto. È tutto dannatamente vero, ma io non riesco a non entusiasmarmi, a non credere che cambiare, davvero, si possa e che farlo nel piccolo, nel quotidiano, sia la vera risposta. Del resto, Claudio Abbado, grande Direttore d’Orchestra venuto a mancare di recente, diceva:
"Il segreto della vita è trovare sempre qualcosa di meglio, avere nuove ispirazioni, nuovi entusiasmi".
Avremo anche conosciuto molti Paganini, non discuto, ma sono sufficientemente folle da non smettere di trovare sempre qualcosa di meglio in cui sperare: una slow serendipity, per esempio e tanto storytelling territoriale da (ben) fare in una terra in mezzo al mare.
Francesca Campagna http://fravolacolcuore.com/