L’altro giorno il Mitile Ignoto è intervenuto sul ‘caso’ Pollux con un articolo dal titolo “A sciambere della spilla, del Polluce e delle polemiche morte in fasce”. Lo ringrazio per questo e per tutte le volte che la lettura dei suoi arguti ‘pezzi’ mi ha distolto un per un po’, con grande beneficio della mia ridotta zona intellettiva, da studi troppo seriosi e da elucubrazioni esegetiche.
Riguardo al Pollux il Mitile ha centrato subito quello che, a mio avviso, è il vero punto dolente: non la spilla a farfalla, ma gli avvenimenti antecedenti il saccheggio del relitto. È in quella fase - ossia nei momenti del rilascio delle autorizzazioni - che si è giocata la partita fra le guardie e i ladri. Questi ultimi, com’è noto, avevano impostato una truffa chiedendo di recuperare un carico di alluminio nel piroscafo Glenlogan mentre, in realtà, intendevano rubare il fiabesco tesoro del Pollux. Le guardie, dal canto loro, non furono abbastanza circospette, concessero autorizzazioni senza prescrizioni (la presenza di un funzionario avrebbe annullato qualsiasi velleità) e il tentativo di inganno ebbe un risultato brillante per i malfattori e un esito disastroso per lo sfortunato Pollux. Il Soprintendente per i beni archeologici, dott. Angelo Bottini, ammise senza mezzi termini (Il Tirreno, 15 dicembre 2004): “È stata affrontata come una vicenda di routine e le colleghe funzionarie della soprintendenza, la dottoressa Ducci e la dottoressa Gambogi, che si occupano della archeologia subacquea e della zona dell’Elba, che hanno gestito questa cosa, sono rimaste vittime dell’imbroglio”. Tale imbroglio, evidentemente, non è apparso insormontabile al senatore Boco, il quale nella sua interrogazione del 14 settembre 2005 assicura che “il Glenlogan era notoriamente affondato a ben 600 km di distanza” dal mare dell’Elba. Ribadisco che sono d’accordo con lui, sottolineando l’avverbio ‘notoriamente’.
La richiesta del gruppo di inglesi era di recuperare il Glenlogan? A parte le difficoltà connesse e l’antieconomicità dell’intervento (suvvia: recupero di alluminio, con costi proibitivi, a 103 metri di profondità…), cosa ci voleva a compiere una verifica? Non c’è dubbio che una ricerca, breve e facile, sarebbe stata in grado di accertare che il Glenlogan era colato a picco, silurato da un sottomarino, il 31 ottobre dell’anno 1916 dieci miglia a sud-est dell’isola di Stromboli e non al largo di Capoliveri. Per svelare l’inganno sarebbe stato più che sufficiente consultare uno degli accessibilissimi elenchi dei vascelli affondati durante la prima guerra mondiale. Per esempio “British vessels lost at the sea 1914-18”, sia nell’edizione originale del 1919 sia nella più reperibile riedizione del 1977. Come riprova allego copia della parte del libro che concerne il Glenlogan.
Purtroppo, la suddetta gestione della vicenda ha indotto il senatore Lannutti ad affermare in una sua interrogazione (17 febbraio 2009) che “il furto dei preziosi è potuto avvenire a causa delle gravi omissioni imputabili a carico della Soprintendenza archeologica per la Toscana”.
Per concludere: penso (e al contempo richiamo l’art. 21 della Costituzione Italiana sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero) che se ad esaminare la pratica fosse stato uno dei nostri mitici Marescialli dei Carabinieri il tentativo di truffa sarebbe stato intuito, sventato e la banda di inglesi avrebbe infiocchettato qualche bella denuncia al seguito. E, risvolto non secondario, il tesoro del Polluce sarebbe ancora lì. Bello, bellissimo e soprattutto integro. Con tutti i suoi gioielli e con tutto il suo carico di storia.
Michelangelo Zecchini