I nostri rapporti con le politiche comunitarie sono stati sempre complicati –da molto prima della austerity- specie in riferimento all’ambiente. Sono note le pesanti e ricorrenti sanzioni per le nostre inadempienze. Non meno nota la nostra incapacità soprattutto ma non solo al sud a utilizzare i Fondi comunitari a cui aveva messo mano efficacemente il ministro Barca con il governo Monti. E qui più che la burocrazia erano e sono le istituzioni specie regionali a non riuscire a predisporre progetti validi e perciò finanziabili. In questi giorni lo stesso tipo di ritardo è stato denunciato per quanto riguarda le politiche del lavoro dove registriamo significativi residui attivi per la stessa incapacità ad avvalersene efficacemente.
Si ripropone insomma un vecchio problema che riguarda la nostra capacità di far funzionare a dovere la filiera stato, regioni, enti locali perché la continua e crescente conflittualità e competizione istituzionale lasci finalmente il posto a quella leale collaborazione prevista e voluta dalla Costituzione. Qui ha fallito il titolo V che ora infatti deve essere ridefinito.
Purtroppo stando almeno a quel che per ora circola non sembra si voglia andare nella direzione giusta. La Conferenza delle regioni lo ha già denunciato perché prendendo spunto dalle competenze concorrenti sperimentate si dice con scarso successo le si vorrebbe eliminare riconducendo però allo stato anche ruoli regionali sui quali lo stato si riserverebbe una ampia facoltà di metterci becco a sua discrezione. Di Siervo ex presidente della Corte Costituzionale in questi giorni sollevato forti dubbi ad esempio anche sul fatto che le regioni speciali sarebbero esentate da qualsiasi coinvolgimento. Ricordo che negli anni ottanta il parlamento con la Commissione bicamerale per le questioni regionali fece una indagine proprio sulle regioni speciali –erano i tempi di Magnago, Melis, Niccolosi-che si concluse con la convinzione che la ‘specialità’ a distanza di tanti anni dal dopoguerra richiedeva una riconsiderazione peraltro rivendicata anche dalle regioni ordinarie. Qui si va perciò nella direzione opposta.
Eppure quella sussidiarietà che vuole che la gestione delle competenze di governo siano affidate sempre più a chi è più vicino ai cittadini e alle comunità a cui mirava il titolo V resta una esigenza incalzante. Esigenza resa più urgente ma anche più complicata dalla la messa in fuori gioco delle province e che perciò richiede che non sia lo stato a fare la parte del leone nei confronti delle regioni le quali a loro volta dovrebbero farla nei confronti a questo punto dei soli comuni e città metropolitane.
Alla Camera ad esempio Ermete Realacci ha presentato una proposta di legge per aggregare i comuni al di sotto dei 5000 abitanti affidando allo stato la competenza di definirne compiti etc. La Conferenza delle regioni ha giustamente osservato che non è possibile sottrarre alle regioni competenze importanti nella definizione dei ruoli locali che devono sintonizzarsi con quelli regionali e questo non compete certo allo stato.
Ci vuol poco a capire che da qui passano anche e in particolare quelle politiche ambientali ormai allo stremo delle forze che non solo per poter gestire bene i fondi comunitari devono contare su quella cooperazione che ha lasciato da troppo tempo il posto ad una paralizzante conflittualità costituzionale e istituzionale dal suolo al paesaggio alla natura con tanti saluti per i beni comuni.
Renzo Moschini