Seguo con interesse le riflessioni campesi sull’importanza della memoria storica e sulla necessità di mantenerla viva anche quando gli eventi cui si riferisce sono trascorsi da molto tempo; e vorrei aggiungere un mio contributo.
Innanzitutto credo che ai termini ‘storia’ e ‘memoria’ corrispondano significati complessi: la memoria conserva ciò che è “memorabile”, cioè quel che è stato ed è capace di suscitare passioni ed emozioni in chi è chiamato a condividerla. La storia ricerca e stabilisce i collegamenti delle memorie tramandate, e ne produce una narrazione capace di rispondere alle domande che la società nella sua continua mutazione e nella sua evoluzione si trova davanti nuove e differenti; e in tal modo diviene uno degli strumenti per la costruzione del futuro.
Ad esempio, tanti episodi “memorabili” della storia romana –spesso leggendari- sono stati utili al loro tempo per puntellare l’apoteosi della “romanità” gloriosa nei momenti più critici, e hanno mantenuto tale funzione anche a distanza di venticinque secoli, narrata ai nostri nonni e anche a noi nei tempi in cui il ricordo di quella gloria doveva coprire un’attualità assai meno gloriosa. E’ il caso dell’epopea di Orazio Coclite (536-490 a. C.), che da solo difendeva il ponte Sublicio impedendo ai nemici di invadere Roma, e consentiva così ai suoi soldati di mettersi in salvo, prima di tagliare il ponte e gettarsi a nuoto (con armi e bagagli) per salvarsi anch’egli; ma la stessa storia, letta in un contesto diverso o da osservatori diversi, significa che i Romani dell’eroico Orazio ne stavano prendendo di santa ragione dagli Etruschi del re Porsenna, che erano stati ripetutamente sconfitti, e che i loro avversari erano alle porte della loro città mettendone in pericolo la libertà. Lo stesso si può dire dell’analogo episodio di Muzio Scevola, e di mille altri. E oggi ci fanno sorridere.
Tutta la “storia” è sottoposta a un processo simile di rilettura (che è cosa diversa dalla “revisione”), perché appunto mutano tempi e le diverse sensibilità rivolgono domande nuove: e dare alle domande nuove risposte antiche non serve a mantenere viva la memoria, serve solo a suscitare un sorriso. Certo i documenti restano gli stessi –o se ne aggiungono nuovi-; e sarebbe imprudente e presuntuoso dichiarare che alcuni possano esser ritenuti inutili o “superati”: per questo condivido l’idea di raccoglierne e conservarne quanti più possibile, e di restaurali quando necessario. Ma la conservazione dei documenti non è la storia, come non sono storia il collezionismo e l’antiquariato: il loro pieno valore emerge quando la “narrazione” dei documenti è capace di rispondere alle domande urgenti del presente.
Delle due Grandi Guerre esiste ed è ormai nota una documentazione sconfinata, raccolta con passione e pietà da infiniti testimoni diretti e indiretti, e a noi consegnata come monumento di tragedie immani dell’umanità nella sua storia relativamente recente. E anche le ricostruzioni d’insieme e le narrazioni scientifiche sono ormai patrimonio condiviso di conoscenza. Ma le “risposte” fin qui date non riescono –o non riescono più- a essere soddisfacenti.
Non lo erano per don Lorenzo Milani che nel 1965 rispondeva con una ‘lettera aperta’ a un comunicato dei Cappellani militari contro l’obiezione di coscienza al Servizio Militare (poi riconosciuta con legge dello Stato nel 1972), rileggendo la storia degli ultimi (allora) cento anni. Ecco alcuni passi di quella lettera:
«1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell’idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c’erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l’appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d’Italia un monumento come eroe della Patria.
A 100 anni di distanza la storia si ripete: l’Europa è alle porte. La Costituzione è pronta a riceverla: «L’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie...». I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell’Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.
La guerra seguente (1866) fu un’altra aggressione. Anzi c’era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l’Austria insieme.
Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant’è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant’è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. <…>.
Nel 1898 il Re «Buono» onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L’avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.
Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare «Savoia» anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l’unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo. <…> Idem per la guerra di Libia.
Poi siamo al ‘14. L’Italia aggredì l’Austria con cui questa volta era alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una «inutile strage»? (l’espressione non è d’un vile obiettore di coscienza ma d’un Papa canonizzato).
Era nel ‘22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette ad aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l’Obbedienza «cieca, pronta, assoluta» quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo.<…>
Nel ‘36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: avevano avuto la cartolina di precetto per andar «volontari» a aggredire l’infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto d’un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll’aiuto italiano e al prezzo d’un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d’ogni libertà civile e religiosa. <…> Senza l’obbedienza dei «volontari» italiani tutto questo non sarebbe successo. Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall’altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l’appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. <…>
Poi dal ‘39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l’altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia). <…> Dite piuttosto cosa c’era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d’ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d’ogni giustizia e d’ogni religione. Propaganda dell’odio e sterminio d’innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente). Che c’entrava la Patria con tutto questo? E che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l’ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie? <…> Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall’obbedienza militare. <…>
Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità. Rispettiamo la sofferenza e la morte; ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.
Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano».
Non credo ci sia bisogno di molte altre parole. Ricordiamo le guerre come immani tragedie quali sono state, e rispettiamo le lapidi dei loro caduti come “monumenti” (moniti) di vittime di quelle tragedie, al pari delle vittime della febbre “spagnola” che nel cimitero vecchio di Marina di Campo sono contemporanee e contigue ai soldati che non tornarono vivi.
Mi piace l’idea di porre, come è stato proposto, sugli alberi dei vialetti dei cimiteri di San Piero e Sant’Ilario un ricordo dei nostri soldati morti in guerra, come nel vialetto del cimitero vecchio di Marina di Campo; vorrei, però, che ai ragazzi delle scuole fosse fatto scrivere nelle schede di ciascuno “caduto” anche chi ha pagato con lui, e tanto!: le madri e i padri, e i fratelli, e i figli. E le spose. Canta De André: “Era partito per fare la guerra/per dare il suo aiuto alla sua terra/gli avevano dato le mostrine e le stelle/e il consiglio di vender cara la pelle/e quando gli dissero di andare avanti/troppo lontano si spinse a cercare la verità/ora che è morto la patria si gloria/d’un altro eroe alla memoria./Ma lei che lo amava aspettava il ritorno/d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà/se accanto nel letto le è rimasta la gloria/d’una medaglia alla memoria”.
Perché i nostri “monumenti”, sepolcrali o documentali, diventino per tutti forte, rigoroso, esclusivo impegno per la pace.
Luigi Totaro