Mentre sta per essere avviato il percorso parlamentare del disegno di legge su “La Buona Scuola” si prospetta in tutte le scuole d’Italia una mobilitazione contraria degli insegnanti con livelli di convinzione e di unità che ricordano la mobilitazione contro il “concorsone”, che determinò, nel 2000, la fine del ministero di Luigi Berlinguer e quella, più recente, contro la proposta di ampliamento non contrattato dell’orario di cattedra a 24 ore da parte del Ministro Profumo. Il 5 maggio ci sarà uno sciopero unitario di tutti i lavoratori della scuola.
Ovviamente, non tutti i contenuti di questa mobilitazione sono condivisibili: ci sono anche elementi di corporativismo categoriale che è giusto superare. Ma ci sono tre punti su cui occorre riflettere:
1) il punto vero su cui la scuola deve cambiare è la capacità di integrare meglio nei percorsi scolastici gli alunni più deboli: l’Italia non può permettersi di continuare ad avere tassi di dispersione scolastica tra i più alti d’Europa. Colpisce perciò negativamente che nel disegno di legge, a fronte di problemi enormi, come quelli determinati dalla presenza, in prospettiva sempre più importante, di alunni di origine straniera, manchi ogni ragionamento organico sulla lotta alla dispersione scolastica, sull’integrazione e sul diritto allo studio; e colpisce pure che non sia questo il tema al centro della protesta sindacale;
2) tutte le esperienze europee e le migliori pratiche della scuola italiana dimostrano che le cose funzionano meglio dove c’è un progetto condiviso tra dirigente scolastico, docenti, insegnanti e famiglie: tutto il contrario, insomma, dei meccanismi di incentivo a una direzione leaderistica e di promozione di una competizione tra poveri che certi aspetti della legge sembrano contenere;
3) su un punto mi sembra che la protesta abbia pienamente ragione: ed è l’opposizione all’idea che le nuove assunzioni debbano avvenire su chiamata dei dirigenti scolastici, con “incarichi di durata triennale rinnovabili” e quindi non fissi, a partire da albi regionali, in cui andrebbero a ricadere anche gli attuali insegnanti di ruolo che, per qualunque motivo, da una richiesta di mobilità territoriale fino a una contrazione del numero di studenti e di cattedre nell’istituto dove lavorano, perdessero il loro posto attuale. Mentre è giusto dare ai dirigenti scolastici un’ampia facoltà di decisione sia sull’utilizzazione del personale docente che sugli elementi di progressione di carriera legati al merito, perché in questo modo si attribuiscono alla figura del dirigente scolastico i poteri e i mezzi necessari per farne il volano di un’applicazione innovativa delle norme sull’autonomia scolastica, credo che far dipendere dal dirigente scolastico addirittura il rapporto di lavoro dell’insegnante sia in contrasto col principio costituzionale della libertà di insegnamento; inoltre gli albi regionali rischierebbero, in questo modo, di configurarsi come un nuovo bacino di precariato; mi sembra inoltre evidente che attribuire ai dirigenti scolastici maggiori poteri, secondo un modello che il nostro Segretario e Presidente del Consiglio ama riferire a quello dei Sindaci, comporta adeguati contrappesi, che non possono che consistere in una più adeguata definizione dei compiti e delle prerogative del collegio di governo e del consiglio di istituto, che invece, nel disegno di legge, appaiono totalmente oscurati.
Mi sembra insomma che siano molte le ragioni che consigliano al governo un ascolto attento della protesta degli insegnanti, che non ripeta l’errore della scelta di rottura frontale con i sindacati compiuta sul Jobs Act: solo così potranno essere apprezzati aspetti positivi indubbiamente presenti, come il fatto che si torna a investire sulla scuola dopo i tagli della Gelmini e che si definiscano alcuni elementi di innovazione e di dinamismo.
L’assunzione dei 100 mila precari al 1 settembre 2015 dovrebbe essere garantita al di là dell’iter, necessariamente non brevissimo, di una discussione sul complesso della riforma scolastica, e dovrebbero anche essere corretti (e proprio perché su questo esistono difficili tecnicalità ci dovrebbe essere una maggiore disponibilità all’ascolto) alcuni squilibri sulle graduatorie da cui attingere i nuovi assunti.
Francesco Nocchi