Negli ultimi giorni, dopo l’annuncio da parte dell’assessore toscano all’agricoltura e al mare, Marco Remaschi che anche la Toscana avrebbe perso oltre 330 km2 di mare a vantaggio della Francia, diversi giornali e siti si sono scagliati contro il governo accusandolo praticamente di aver ceduto il mare dell’isola di Capraia (qualcuno addirittura l’intera isola) al governo francese, arrivando addirittura a parlare di alto tradimento e a chiedere le dimissioni di Renzi e del ministro degli esteri Paolo Gentiloni per fellonia e accordo col nemico, che così coronerebbe il sogno di Napoleone e De Gaulle di annettersi l’Arcipelago Toscano. Toni forse un po’ troppo esagitati per un accordo tra due Paesi militarmente alleati che fanno parte dell’Unione europea e per problemi risolvibili con accordi su aree di pesca congiunte.
In realtà, come ha fatto subito notare lo skipper di Capraia Fabio Guidi sulla sua pagina Facebook, la risposta della Regione, almeno per quanto riguarda Capraia, non torna proprio: «Tra Capraia e la Corsica ci sono 16 miglia, come si può sostenere che sono state ridotte le acque territoriali di 12 miglia quando questo non è mai stato possibile? Il confine è sempre stato nel mezzo ovvero a 8 miglia, 8 per Capraia e 8 per la Corsica! Non parlo delle altre affermazioni visto che nessuno dice come siano stati fatti i calcoli, la regione forse ha i punti Gps prima ed i punti Gps dopo? senza questi dati possono essere anche inventati!»
In effetti, il corridoio per la navigazione delle navi – ottima cosa che allontana il traffico navale dall’area marina protetta di Capraia e l’istituenda area marina protetta di Capo Corso – istituito in base all’accordo del novembre 2015 tra i Italia e Francia, conferma quei confini. Quindi a Capraia non viene tolto nulla.
Allora perché secondo Remaschi, «Sono state cedute porzioni di superficie marina per 339,9 kmq e acquisite per 23,85 kmq con una diminuzione di 316,05 kmq. La superficie marina ceduta è davanti alle coste toscane, all’isola di Capraia, mentre quella acquistata si trova davanti alle isole d’Elba e di Pianosa»?
L’Assessore toscano sembrerebbe aver sbagliato isola, infatti la Francia, con l’accordo di Caen sottoscritto il 21 marzo 2015, all’Abbaye aux Dames de Caen, in Basse-Normandie, dal nostro ministro degli esteri Gentiloni e dal suo collega Laurent Fabius – già ratificato dal Parlamento francese ma non da quello italiano – avrebbe inglobato nei suoi confini marittimi la Secca delle Vedove, a una ventina di miglia nord di Capo Corso e ad ovest dell’isola di Gorgona, non di Capraia. Una zona abbastanza vicina al pescoso Banco di Santa Lucia, che qualcuno dava già per passato ai francesi e che invece sarebbe rimasto italiano.
Quindi Capraia non corre nessun rischio di annessione (e nemmeno Gorgona), mentre resta il mistero del perché e in cambio di cosa l’Italia abbia ceduto aree pescose al nord della Sardegna, in Toscana e in Liguria.
Una delle teorie, avanzata anche da Massimo Pili, l’ex presidente di centro-destra della Regione Sardegna ed oggi deputato di Unidos, è che si tratta di uno scambio pesce – petrolio, visto che nel 2010 l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy mise il veto su nuove trivellazioni petrolifere nel Mediterraneo e che invece a nord-est della Sardegna – proprio a ridosso dei nuovi confini – ci sono diverse istanze di prospezioni petrolifere e che, proprio lì, l’Italia ha inglobato come acque territoriali quella che era una sua Zona economica esclusiva (Zee). Va anche detto che sulla base dell’accordo di Caen – che applica la convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS) – l’Italia ottiene che diventino acque territoriali quelle che prima erano acque internazionali, guadagnandoci non poco da questo punto di vista.
Una tesi, quella del petrolio e del gas, suffragata anche dalla risposta data dal Sottosegretario agli affari esteri Benedetto Della Vedova alla interrogazione parlamentare di Pili: «Al negoziato sulla base delle rispettive competenze hanno partecipato anche tutti i Ministeri tecnici – inclusi quelli che hanno responsabilità in materia di pesca, trasporti ed energia»
Come dice Legambiente Toscana, l’accordo conferma non solo i pericoli che corre la Sardegna nord-occidentale ma c’è il rischio che si possa riaprire la partita trivellazioni nell’Arcipelago Toscano.
Nel 2010 l’allora ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, pressata da Legambiente appoggiata da Comuni e cittadini, disse che la Key Petroleum, un multinazionale australiana che aveva effettuato prospezioni petrolifere a nord e a sud dell’Isola d’Elba, trovando giacimenti di gas e petrolio sfruttabili tra Pianosa e Montecristo, non poteva trivellare perché il Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos doveva essere considerata a tutti gli effetti un’area protetta. Una interpretazione messa in dubbio dai petrolieri che, infatti, un paio di anni fa tornarono alla carica con le trivellazioni nel Tirreno toscano, sollevando le proteste di Legambiente, tanto che il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, disse che era contrario all’ipotesi di trivellare al largo dell’Arcipelago toscano.
I successivi passi del governo, con le facilitazioni al petrolio offshore introdotte nello “sblocca Italia” e che tornavano indietro rispetto ai limiti approvati dalla Prestigiacomo, avevano fatto aumentare ulteriormente le preoccupazioni, spingendo le Regioni a chiedere l’indizione dei referendum NO-Triv, del quale alla fine, dopo la marcia indietro del governo, pè rimasto quello sulle “16 miglia”.
Ma la Regione Toscana, a differenza della Liguria, non è tra le 9 Regioni promotrici del referendum contro le trivelle del 17 aprile e Legambiente teme che dietro il tentativo del governo di non far raggiungere il quorum rifiutando di indire l’Election Day ci siano proprio concessioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi come quelle avanzate in Sardegna e Toscana.
In attesa di sapere cosa uscirà domani dall’incontro tra Remaschi e Gentiloni, Legambiente sta preparando una lettera al mondo politico toscano perché si impegni contro le trivellazioni offshore e per la partecipazione al referendum del 17 aprile.
Certo che da questa vicenda emerge non solo l’incapacità da parte del governo di comunicare chiaramente i contenuti di un accordo firmato pubblicamente, ma anche quella della politica italiana di controllare le attività dell’esecutivo – dove erano le Commissini palamentari interessate? – per informare a sua volta correttamente l’opinione pubblica. E’ in questa confusione politica che sono emerse le ipotesi più strampalate e che “ballano” numeri, chilometri quadrati, miglia e confini.