Ho già espresso chiaramente, sia a livello personale che a livello istituzionale, la mia partecipazione al referendum del 17 aprile ed il convinto voto “SI”.
Ciò, comunque, non modifica il mio giudizio assolutamente negativo sul modo (a questo punto sarei quasi autorizzato a definirlo interessato) di affrontare il problema energetico, almeno in Italia.
Sono almeno 3 gli aspetti banalmente incontrovertibili : il primo è che, ove ci si limiti semplicemente ad inseguire i consumi, presto ci troveremo a riconsiderare, volenti o nolenti, tutte le forme possibili di produzione energetica, indistintamente, ivi comprendendo trivelle, trivelline e nucleare (vicinissimo, vicino o lontano che sia, tanto è uguale).
Il secondo aspetto, con buona pace di tutti, ambientalisti estremi inclusi (io mi classifico come ambientalista realista), è che semplicemente non esiste una filiera di produzione dell’energia ad impatto ambientale zero, anche a causa di una (anzi, almeno 2) maledetta regola della fisica.
Il terzo è che, contrariamente a quanto siamo abituati a ragionare, con una certa dose di incoscienza, non esistono risorse infinite e di infinita durata.
Il problema, quindi, non è semplice da risolvere, soprattutto in mancanza di una strategia complessiva che, un poco come il gioco della torre (chi butto giù?), effettui drastiche scelte di congruità e di priorità di salvaguardia che, ad esempio, coinvolga modello di sviluppo (senza limiti ?), ambiente, salute umana (che non è solo ambiente), cultura dei consumo, rifiuti, eccetera.
Così, come in tutti i sistemi (ed i problemi) complessi, intervenire solo in uno degli aspetti esemplificati, in realtà non serve proprio a nulla, con il rischio di fare e subire solo propaganda e, anche inconsciamente, di fare da spalla a cinici interessi economici del momento.
Si può fare molto meglio, anche nel piccolo. Però ci vorrebbe una politica seria e, come già scritto, una strategia partecipata e condivisa: iniziamo a parlarne, almeno.